domenica 27 luglio 2014


 

HASNAHAN

 

Devi sapere che le notti più belle

le ho avute con te, nel tuo incanto;

quando con la tua voce lieve raccontavi

alle tue chiome bianche di spuma

di me, che sapevo ascoltarti.

 

Ricordati i giorni io e te rimanemmo

con le parole in mano, sabbia che scivolando tra le dita spariva nella tua anima.

 

Cercami ancora come solo tu sai fare,

abbracciami con i tuoi velluti dorati

nell’ora della risacca consegnami alla vita!

 

Seguimi e amami, alle tue ancelle disegna

linee di altri orizzonti ove io possa ancora amarti!

                                     Vincenzo Calafiore

sabato 26 luglio 2014

LEI
Di Vincenzo Calafiore
Quantunque noi prigionieri di certi pensieri usammo parole a noi sconosciute, di un linguaggio nuovo, di un modo e maniera di vivere e di interpretazione diverse, ancora assieme attraversiamo strade di gente che con noi non aveva nulla a che fare.
Io e lei ci siamo difesi, abbiamo difeso quel poco che di noi ancora esisteva e palpitava sotto la pelle riconducibile a un cuore che batte un tempo asincrono, diverso da quello che costretti dividiamo con distacco, con un margine simile ad un confine.
Lei conosce le scritture pupillari sa ascoltare il ritmo delle mie parole e rimane ad ascoltarle, lo ha fatto ieri, lo fa ancora oggi.
Ma io a volte non riesco più a tenere certi ritmi e mi abbandono in un silenzio in cui posso rimanere come un archeologo a scavare con le nudi mani alla ricerca di un qualcosa che mi possa permettere di compiere quel salto all’indietro nel tempo per ritrovare me stesso.
Non mi riconosco, mi smentisco continuamente recitando quel ti amo che rimane impronta indelebile, diviene strada che riconduce a lei dopo i viaggi nell’anima.
Le parole delle donne sono forti remi capaci di fendere le durezze,
falci che mietono ipocrite bugie,
infondono e traducono sentimenti e sensazioni in altra vita ancora da vivere.
Voglio che lei abile nocchiera sia foriera di altre intimità, di nuovo ti amo!
Lei è un mondo mutevole, fatto di volte in volte.
E’ un linguaggio mutevole, è continua evoluzione.
E’ desiderio.
E’ Amore.
Nonostante la mia irrefrenabile voglia di riprendere ogni giorno il mare, dopo tanto remare e giunto al limite sento il suo richiamo che mi fa tornare indicandomi la rotta più breve com’ è brevità l’assenza, e l’orgoglio.
Cado nel suo abbraccio e sento di aver trovato quel che la mia anima cerca.
Pensare a lei come a una cosa sicura è un errore che potrebbe condurre alla catastrofe, perché per averla bisogna essere uomini capaci di mare, saperla amare e custodire come la più preziosa gemma.
Ricordare invece che ogni volta che lei muore o è violentata, stuprata, sono una parte di noi che muore.
Lei è quanto di più appropriato e vero sia nel creato.
Ricordiamolo!

mercoledì 23 luglio 2014

LA DOMENICA
 
“ C’è stato un tempo in cui guardando un – vecchio – mi sentivo lontano da lui. E’ stato così breve  che un giorno guardando mio nipote  mi sono sentito distante perfino da me stesso e da quel che ero e quel che sono ora: ho scoperto i ricordi, e di tanto in tanto a quella fonte mi ci reco non per ricordare ma per vedermi giovane. Ed è ogni volta come guardare un film del quale conosco il protagonista e non posso che accarezzarlo con gli occhi del ricordo, mio Dio quanto sono invecchiato!
 
di Vincenzo Calafiore
 
Forse ciò che sto per scrivere a qualcuno non potrà piacere ma lo scopo non è il raccontare o il rammentare è un altro, forse il, come sarà!
 
 
Già dal sabato per le vie del rione ove abitavo si sentiva nell’aria il profumo dei sughi del quale mamma diceva che per essere un buon sugo, questo deve balbettare. Panni stesi ai fili davanti alle finestre e ai balconi, camminando lungo la via e alzando lo sguardo nella sua profondità si vedevano questi colori sventolare nell’aria secca che non faceva sudare. Allora s’udiva per la strada uscire fuori dalle finestre le note  di “ i’ll never foll in love again “ o di “ Raindrops keep falling on my head” dell’orchestra di Burt Bacharach, c’era anche Doris Day con la sua – che serà serà – e Frank Sinatra.
Era domenica.
E si andava con tutta la famiglia al mare, non nella solita spiaggia, e su quella  Fiat 850 assieme ad altri amici con la 600 Multipla blù si raggiungeva la spiaggia libera di Marina di San Lorenzo ( Melito Porto Salvo). Ci si fermava a Capo Spartivento un promontorio a strapiombo sul mare cristallino, una magica visione che con un po’ di fantasia ci faceva vedere la nostra madre patria: la Grecia.
Non potevano mancare il “mangiadischi” e la radio a transistor solitamente appoggiata sopra ad uno scoglio per ascoltare le partite; mia madre allora, giovane e bella, agile, con quello sguardo dolce e severo allo stesso tempo, innamorata di mio padre, se lo coccolava e se scappava qualche momento d’intimità noi ci tuffavamo in mare per lasciarli un po’ soli.
Lei pensava a tutto, era la regista, l’organizzatrice, la reggente!
A noi figli vicino all’ora di pranzo, dava l’incarico di apparecchiare la tovaglia plastificata a fiori, che bloccavamo a terra poggiando agli angoli pesanti sassi, mentre Gino Paoli cantava “ Sapore di Sale” e Riccardo del Turco “ Luglio”.
Piatti in plastica così pure i bicchieri, la bottiglia termica, e non poteva mancare l’anguria messa in acqua al fresco!
Sulla spiaggia erano molte le famiglie, più o meno numerose, nascevano i primi amori, scappavano i primi baci nascosti fra gli scogli!
Mio padre sotto l’ombrellone ci seguiva con gli occhi, non ci perdeva di vista, faceva il bagno assieme a mia madre che non lasciava mai sola mentre noi eravamo impegnati a conquistare la figlia della famiglia accanto che alla fine si aggregava alla nostra per giocare a carte o ascoltare la musica, mentre le autovetture parcheggiate poco distante, coi finestrini aperti, ospitavano qualcuno che si addormentava sui sedili posteriori.
Si giocava a calcio e nell’acqua, fino al pomeriggio inoltrato.
Il momento triste arrivava e bisognava ripiegare tutto, si puliva la spiaggia e poi il commiato dalla conquista con la promessa di rivederci la domenica successiva alla quale si faceva di tutto per non mancare.
Poi come accade immancabilmente le cose cambiano in nome di un progresso che ha spazzato via tutto, e su quella spiaggia nacque un villaggio turistico, cambiò pure la musica che spazzò via Frank, Burt, Doris,Paoli,Peppino di Capri, invece della melodia venne il gran rumore e il parlato. Fu l’inizio della fine, un cambio epocale che non associava ma disgregava, così pian piano si assottigliarono sempre più “ quelle domeniche” e di loro rimasero riposti in un armadio la tovaglia a fiori e le bottiglie termiche, il bidoncino di 5 litri d’acqua e tante fotografie in bianco e nero di visi sorridenti e di ragazze mai più incontrate.
Sono rimasto io, irriconoscibile e sgraziato come il mio tempo assetato di ricerca di quei momenti, piccoli fotogrammi dietro il bianco degli occhi, nella memoria che ripropone per non farmi morire da ignoto.

lunedì 21 luglio 2014



QUEL SOGNO ABBANDONATO

 Di Vincenzo Calafiore
                                                  
Campi di grano mietuto, arsi nell’aria d’africa nel frinire di cicale, all’ombra di un fico, basso e dalla chioma ampia a chioccia, scorrono pensieri nella spiga di grano serrata tra le  labbra.
Negli occhi all’ombra di un cappello di paglia sfaldato, ancora l’immagine di una lontananza smeriglia e tagliente. Che si sfinisce nel sudore e scendendo copiosamente dalla fronte una volta superate le tempie raggiunge le brevi pianure incavate agli zigomi per sparire nel nulla; come tutto qui. Nel nulla del silenzio ove s’ode il ronzio alle orecchie di api e mosconi, e il fischio di un treno lontanissimo sfiancato dalla calura, come il mondo che non c’è attorno.
Tanti sono andati via da queste valli del silenzio, lasciando visibili tracce di aratri arrugginiti ricoperti dall’erba, niente camicie senza colletto e fazzoletti annodati alla gola né fasci di spighe nei campi, solo senso di abbandono, di vuoto .
Da sempre i rintocchi delle campane del Gesù, regolano la vita nei campi e nei boschi, raggiungono i paesi vicini; così giumente e asini, uomini, si ritrovano nella piccola piazza di terra battuta con la fontana al centro ove tutti assieme uomini e bestie si dissetano e si rinfrescano dal sole bruciati, mentre lontano da qui il mondo vola.
Sono ormai trentacinque anni che prima di tornare a casa mi siedo sotto lo stesso fico ora sono un uomo da sposa e lei non è ancora arrivata, non si è affacciata nella mia vita come la mia nella vita!
Sono nato in questo paese dall’aria fiabesca, arroccato su una cresta di una montagna di creta lunga e stretta, un paese che si muove assieme all’anima che lo sostiene sospeso sopra burroni e precipizi, baciato dal cielo.
Ogni giorno qualcosa cambia, qualche sasso rotola giù dentro la fiumara, qualcuno va via e i pochi aspettano l’estate delle cicale, del ritorno a casa! , una folata di vita nuova, tutto si anima ed è come se si gonfiassero le vele e questo buco di paese riprende a volare. Si animano vicoli e stradine mentre il nuovo passa e ci guarda come fossimo addobbi di un insieme di bestie e di cose, di silenzi e di paure di un forestiero dalla pelle chiara.
Ci ascoltiamo e a fatica comprendiamo le nostre anime, con parole vecchie parliamo ad un nuovo che non ci capisce, non ci conosce: allora mi chiedo: ma che vengono a fare? Che tornano a fare? Che ci lasciassero almeno in pace senza fotografie come fossimo bestie dentro una gabbia.
Vecchi storti come alberi costretti tra i sassi a cercare il cielo, non sono mai partiti e si conoscono nelle tasche, negli occhi e oltre le spalle; parlano di echi lontani, sfiorati da un nuovo che non li vuole e a fatica li comprende e li riconosce.
Negli occhi la meraviglia dei colori delle camicie a fiori, delle scarpe con le luci nei tacchi e si confrontano, si guardano e scoprono quanto difficile sia il distacco, il silenzio interrotto dal cinguettio e dal volo di rondini che ai nidi tornano ogni primavera.
Nella piazzetta, unico bar e sedie rotte davanti l’uscio a sera nell’attesa della lestopitta, nel frusciar piano delle prime tenebre sotto un cielo di stelle luminose, ancora gli odori che dai campi e dai boschi cala sulle case, tra le strette vie storte come la dorsale. Raccontano come mi è stato raccontato, indicano e insegnano l’uguaglianza con la giumenta, o con l’ asino che come noi a sera da soli tornano a casa.
In questa terra aspra e selvaggia, di confine, di arie d’oriente, reclusa nella sua stessa lontananza non si arriva, ma si parte per lunghi viaggi senza ritorno come i pensieri e le parole che a volte noi stessi non comprendiamo e aspettiamo in tanto il passar di treni a vapore, corrono sferragliando lungo le nostra anime passano e vanno, e quando tornano non fanno più lo stesso rumore!

venerdì 18 luglio 2014


 

QUAL SI VOGLIA

 

di Vincenzo Calafiore

 

La luce blu dello schermo illumina la stanza, è sera, finalmente la pace dopo una giornata afosa e opprimente. Il solito zapping pur di non sentire il TG e allora mi prende lo sconforto per il fatto che da sempre pago quella maledetta tassa detta “ canone” e sono costretto a vedere del pattume. Per non parlare poi dei noiosi spot pubblicitari, un vero supplizio… forse ci hanno preso per dei deficienti, ma la palma per il più odioso è quella che inizia con un’oca che sceglie di andare a Venezia, in me e solo dentro me scatta allora, rispettando un sincronismo labiale assoluto: voglio andare affa…. Accompagnato da una colonna sonora odiosa.

Ma il peggiore di tutto è il TG di qualunque rete, di qualunque colore, poiché è uno stillicidio di pessime notizie; penso al conflitto Israelo-Palestinese l’occupazione militare della striscia di Gaza e ai suoi morti civili, bambini.

Che senso hanno mai avuto le guerre?

Come la guerra dell’Iraq lacerato dagli scontri interni fratricida tra sciiti e sunniti. Penso al deserto infuocato, i 45 gradi delle piane lungo il Tigri e l’Eufrate, gli odi religiosi, le moschee distrutte, i kamikaze, i simboli della guerra santa musulmana. Cosa è rimasto della Bagdad dopo Saddam Hussein e cosa c’entra coi fili spinati arrugginiti su Ortles, i baraccamenti marci sulla Cima del Garè Alto, la Galleria del Corno di Cavento, le trincee sepolte dal muschio sulle creste del Pasubio e dell’Orticara? Tracce antiche della guerra che ancora troviamo, tracce di tutte le guerre!

In realtà c’entrano poco o nulla, ma proprio per questo aiutano a focalizzare quelle che furono le caratteristiche della Grande Guerra sulle nostre Alpi.

In fondo tutte le guerre sono uguali, un detto antico, ma non è piuttosto il contrario? Cioè che ognuna è diversa dall’altra , specialmente i massacri, che caratterizzarono allora, tutti i fronti di guerra come dalla Marna a Yipres fino a Caporetto e all’Isonzo, al Piave, via via fino ai romani.

Ma forse quello di cui non si è tenuto conto analizzando una guerra come la Grande Guerra  sono le motivazioni dei soldati, le armi usate, la conformazione del territorio, delle carneficine all’arma bianca nelle trincee francesi, nelle offensive sull’Isonzo, la disfatta di Caporetto.

Oggi le guerre sono rapide e micidiali, basta poco e con un kalashnikov, esplosivo, per provocare delle carneficine; si fanno le guerre per lo stesso motivo di sempre per l’interesse o l’espansione economica, non è così! La motivazione madre di tutte le guerre al di là di ogni cosa, di ogni ragionamento, di ogni analisi è la stupidità umana, l’idiozia, l’imbecillità, l’ignoranza, l’avidità! Cose che messe assieme ci porteranno forse ad un conflitto termo-nucleare e sarà la fine dell’umanità …… ( Il Pianeta delle scimmie ).

Ecco i motivi per cui odio i Tg, la televisione con tutte le sue mistificazioni, delle famiglie felici, del salto del recinto dell’olio cuore, della pancia che sorride, dei nasi e delle tette, delle chiappe rifatte di tizia e di caia, dei festini a luce rosse,

del ciclo femminile all’ora di pranzo e della cena, del prurito della vagina, della dentiera che balla, della lingua di vacca…. Tutto questo quando si è a tavola dopo una giornata di lavoro e magari vorresti vedere un film e mentre lo vedi, senza accorgerti ti ritrovi con Alessia che ti dice: mamma ho prurito alla patata e la mamma che le risponde: vai al sexshop sottocasa e te lo fai passare! Non ci capisci più niente e come un doppio fesso spegni la tv e te ne vai a letto pensando magari a una santissima eiaculazione felice sotto le lenzuola e con questo pensiero ti addormenti stupidamente, e sogni, sogni fino al mattino quando alzandoti a fatica spalanchi gli occhi e guardando fuori dalla finestra mentre t’infili le mutande pensi: Dio che notte!
QUANTO E’ DIFFICILE
             
di Vincenzo Calafiore
 
Sulla scrivania ormai da tempo  le parole di Nelson Mandela:
 un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”,
ogni giorno mi rammentano quanto sia io sognatore.
Guardo l’orizzonte nei grigi di una sigaretta e tanto è lontano, dalla mia esistenza dimenticata in una stazione in capo al mondo; quando una voce forte e autorevole rompendo la mia lasciva lentezza mi dice: “ Vorrei esserti amico, sarebbe un grande onore per me, dimenticati entrambi in questo confine vaporizzato.”
Rispondo con la mia atavica flemma, potremmo anche esserlo, nulla in contrario; ma prima tu dovresti guardare quel che ho dietro le spalle, e non i miei occhi, guarda  dentro le mie tasche le tracce del mondo.
Ho calpestato i suoi più grandi palcoscenici dai quali ho recitato i miei lunghissimi soliloqui a una platea immensa di puttane e pervertiti che imbellettati e tatuati rappresentavano il peggior pattume.
Ho rubato l’amore e raccolto sogni nei vicoli fatiscenti distanti dall’assoluto, dalle peggiori certezze, dal contrabbando, dalla compravendita di anime e corpi, da lussuose camere a ore in cui si consumano nella piena indifferenza intime volgari compiacenze.
Sono andato in cerca di un’esistenza immaginaria, solcando i peggiori mari  e  terrorizzato nelle notti dalla sagoma buia di un boma.
Mi sono giocato l’anima nei bordelli di Tangeri e veleggiato lungo terre seguendo l’aria di gelsomini.
Ho pianto nel grembo della solitudine di celle arabe.
Tutto pagato e saldato con gli uomini, e chiesto a Dio nuove rotte per non morire!
No non posso e non voglio diventare tuo amico, potrei rubarti l’anima e trascinarti via con me, potresti anche tradirmi!
Non voglio riprovare nuovamente dolore del tuo tradimento, non voglio le trame oscure, non voglio essere merce di scambio o da esporre perché tu sai chi io sia, e io non so tu chi sia!  Nè vivere nei margini entro i quali ti muovi, né voglio sapere e di chi tu sia il servo.
Il silenzio e il vuoto attorno hanno le stesse voci che sanno incantare dei deserti, e delle rive che un tempo, sorvolai da gabbiano.
Volai alto per avvicinarmi a Dio e ho strisciato fra le rughe del tempo con quel mio alle spalle; ora se potessi la consegnerei nelle sue mani la mia anima! Condannato a riempire pagine del suo nome, a raccontare sogni ad un pastore di greggi sottomessi e vinti dalla paura “ del prossimo a essere sgozzato”.
Ma questo lo fanno uomini dalle mani macchiate dal sangue,
uomini stupidi uccisi dalla loro stessa avidità. Che mondo è mai questo da cui vieni e tu che bestia sei?
Non chiedermi l’amicizia se non sai chi io sia veramente ovunque. 
 
 
 
 
 
 


lunedì 14 luglio 2014


 

OGNI TANTO

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Di Vincenzo Calafiore

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Nella notte, voci sgraziate, distorte assieme alle parole, ai pensieri fino ad un’alba ancora ignota.

Mi raccontano e portano gli echi di antiche felicità, quando tutto aveva un senso, perfino le mie parole che oggi appena ricordo; passano assieme a loro volti di un tempo chiusi nel loro stesso ciclo finale.

E’ venuta mia madre, la grande assente.

E’ venuta con quel suo sorriso di sempre, con la sua maniera di guardarmi dentro, con le sue risposte senza avermi posto domande.

Quanto è distante,

Quanto è lontana da me.

Allora, la notte non è più conciliante è divenuta un nemico da temere, da sopraffare e vincere squarciandole il buio….. il suo cuore pulsante.

Ancora con lei negli occhi mi sollevo dalla leggera morte,  accendo una sigaretta sotto un cielo impenetrabile privo di stelle, di nuvole minacciose ferme da diversi giorni.

 Almeno potessi consultare Tiresia per conoscere quale strada prendere, e chiedergli cosa farmene di una vita così oppressa e defunta.

Tra le folate grigie che dalla sigaretta risalgono il cielo, ricordo quando tornando a casa come Ulisse, lei si faceva trovare sull’uscio; ricordo le spine del dolore che mi fecero e fanno ancora pronunciare il suo nome: Mamma!

Mamma nel dolore e nelle gioie, nei momenti felici; quanta gratitudine per te, quanti ricordi.

Ma le voci non si placano e tutto diviene che un misero proseguimento di un percorso obbligato ove sono più le delusioni e le misere cose di un quotidiano monotono e privo di certezze; là così fatto è perfino difficile il respirare.

E torna la mia mente forse per sopravvivenza a scandagliare i fondali di una memoria che ferendo ripropone parole consumate dall’uso, di eventi più o meno tragici a cui un tempo la vita forse per suo alcano istinto ad entrambi propose. Eri un cardine su cui poggiarono esistenze e riferimenti, ma, sfaldandosi cominciarono a perdersi legami e fratellanze, niente fu come prima in quel mare grande che è la vita dove ancora adesso smarrito annaspo cercando di non annegare dentro silenti tristezze.

Perché tu sia in me faccio di ogni giorno momento d’incontro senza preghiere, e di affabulazioni che trasformandomi in un pezzo di sughero mi permettono di galleggiare e no di vivere.

Ciao Mamma!

venerdì 11 luglio 2014

IL DIAVOLO


QUATTRO GIORNI DI “FESTA”

di Vincenzo Calafiore

Ormai è un evento consolidato nel mese di luglio in Udine, in questo periodo infatti da qualche parte i calabresi si danno appuntamento in seno a questa “ Festa “ per incontrarsi e festeggiare con le pietanze tipiche di questa terra meravigliosa e generosa nonostante il fango e le cattiverie del tutto gratuite a volte, ancora capace di elargire. Ho detto prima - …. Da qualche parte … - è vero perché fino a poco tempo fa, la stessa, veniva organizzata dalla ormai nota Associazione Culturale “ Noi Calabresi con gli Altri “ avente sede in Leproso di Premariacco, Via Bombelli 9 – Z.I. – della quale è il Presidente il Signor Vincenzo Maiolino Campione Italiano di Mangiatore di peperoncino e non poteva essere altrimenti. Quest’anno nei giorni 12-13/19- 20 luglio è la numero “ 10 “ Manifestazione Eno-Gastronomica è organizzata presso il Parco Rubia di Pradamano.
E’, quindi il decimo anno, che viene organizzata ed è un traguardo molto importante per il Friuli Venezia Giulia e per i calabresi e l’Associazione in ultimo.
Non va dimenticato, anzi è meglio ricordarlo, che questo evento non è a scopo di lucro, ma permette alla stessa associazione di sopravvivere per il resto dell’anno, dato che l’associazionismo è in forte calo e in profonda crisi come quella nazionale ( i Comuni e gli enti privati, imprese, fanno fatica a sponsorizzare). Non va scordato che a monte di questa particolarissima manifestazione c’è un enorme impegno degli iscritti, specialmente le donne che preparano quintali di fusilli tirati a mano come si faceva una volta e come continuano a fare le madri in Calabria, fra queste mi va di ricordare la Signora Maria Servidio per il suo grande impegno e per la sua passione. I sughi e le carni, i contorni, sono preparati al momento rispettando le antiche ricette calabresi tramandate da madre in figlia. 

Il menù.

PRIMI: Fusilli con sugo casereccio, Rigatoni, Parmigiana di melanzane.

SECONDI:    Involtini di maiale, salsiccia calabrese, frittura di pesce, maialino allo spiedo, costa allo spiedo.

CONTORNI :  Frittelle di zucchine, Peperoni e patate, frisella con il pomodoro, patatine fritte.

DEGUSTAZIONI VINI:  Vini friulani e Calabresi.

CAFFETTERIA:  Granita al cedro e al mandarino, Crema al caffè, Liquore al cedro, caffè.

FATE VOBIS!

Ma è possibile in seno a questa manifestazione visitare il chiosco “  SAPORI DI CALABRIA” di Francesco Putrì padre e della figlia Francesca Putrì nativi di Sinopoli ( RC) dove potrete trovare il meglio dei prodotti calabresi, specialmente i sottolio e i salumi, piccanti e normali, formaggi …
Gli stessi  gestiscono la loro attività che vi invito a visitare, situata a Remanzacco, Strada di San Martino, 2 . Verrete accolti oltre che dai profumi dei prodotti, anche dalla cortesia e dai suggerimenti per le vostre necessità, e dalla bellissima calabrisella Francesca che vi consiglierà per il meglio.

Dimenticavo la cosa più importante alla “ Festa “ non privatevi del piacere di mangiare quel sano piccante!

ANDATECI E GODETEVI DELLE BELLE SERATE ACCOMPAGNATE DA BUONA MUSICA… E’ UN CONSIGLIO!!

mercoledì 9 luglio 2014



STUPIDITY

Di Vincenzo Calafiore


C’era un silenzio surreale,  e quasi non sapevamo cosa farcene della nostra vita senza quella luce che ogni mattino vedevamo un tempo aprendo gli occhi.
C’era in noi una specie di spaesamento che rallentava ogni nostro pensiero, ci sentivamo delle cose inutili, come tante marionette flosce accatastate in un vecchio sgabuzzino di un teatro inutile e in disuso.
Io ormai era già da tempo che pensavo di mettermi in movimento assieme ad altra gente che come me credeva che da qualche parte ci fosse un luogo in cui certi avremmo ritrovato ciò che ormai era andato perduto.
Nani, eravamo dei nani ricoperti dalle ombre e nelle ombre di alte siepi ci muovevamo!
Ma una mattina aprendo gli occhi trovai seduto su una sedia un “ uomo farfalla”; aveva le ali di colori accesi e un sorriso rassicurante. Volevo alzarmi e raggiungerlo ed ero bloccato nel letto, volevo parlargli e dalla mia bocca non uscirono che suoni grotteschi, le mie mani conoscevano solo e la identica gestualità delle scimmie.
Lui era lì e mi fissava e senza proferire una sola parola si alzò in piedi e battendo le ali volò sopra la mia testa fino a quando caddi in un sonno profondo e sognai….. almeno così m’era parso.
Pianure verdi e laghi, prati e fiori, alte scogliere e mare calmo illuminato da diversi soli al tramonto, e barche, tante barche leggere come foglie che lo solcavano con immensa facilità.
Edifici, pochissimi e niente strade, rumori, fabbriche; tutto era dentro una musica che mi faceva sognante.
Credetti d’essere in paradiso, ma sentivo le mie mani toccare l’erba, potei guardare dall’alto verso il basso, e raggiungere velocemente altri luoghi, ci s’incontrava in aria  o seduti sui rami di alti alberi donne e uomini guardavamo pure le nostre nudità senza malizia, e parlavamo di tante cose.
Un forte rullo di tamburi e lentamente il sipario cominciò ad arrotolarsi fino al soffitto; una mano grande e forte annodò tutti i nostri fili e ancora penzolanti e senza vita ci ritrovammo sulla scena di una parodia che da tempo conoscevamo a memoria e dovevamo recitare per sollazzo. Le note di una marcetta militare  ci animò, all’improvviso come una ventata bastarda e cominciammo a muoverci, a cantare e ridere, lavorare e produrre fino a sera, fino all’ultimo spettacolo quando a sipario chiuso dove venimmo abbandonate, ci sentimmo delle marionette inutili e stupide, peggio delle scimmie appese ad un ramo di un alto albero sopra la terra.