venerdì 18 luglio 2014

QUANTO E’ DIFFICILE
             
di Vincenzo Calafiore
 
Sulla scrivania ormai da tempo  le parole di Nelson Mandela:
 un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”,
ogni giorno mi rammentano quanto sia io sognatore.
Guardo l’orizzonte nei grigi di una sigaretta e tanto è lontano, dalla mia esistenza dimenticata in una stazione in capo al mondo; quando una voce forte e autorevole rompendo la mia lasciva lentezza mi dice: “ Vorrei esserti amico, sarebbe un grande onore per me, dimenticati entrambi in questo confine vaporizzato.”
Rispondo con la mia atavica flemma, potremmo anche esserlo, nulla in contrario; ma prima tu dovresti guardare quel che ho dietro le spalle, e non i miei occhi, guarda  dentro le mie tasche le tracce del mondo.
Ho calpestato i suoi più grandi palcoscenici dai quali ho recitato i miei lunghissimi soliloqui a una platea immensa di puttane e pervertiti che imbellettati e tatuati rappresentavano il peggior pattume.
Ho rubato l’amore e raccolto sogni nei vicoli fatiscenti distanti dall’assoluto, dalle peggiori certezze, dal contrabbando, dalla compravendita di anime e corpi, da lussuose camere a ore in cui si consumano nella piena indifferenza intime volgari compiacenze.
Sono andato in cerca di un’esistenza immaginaria, solcando i peggiori mari  e  terrorizzato nelle notti dalla sagoma buia di un boma.
Mi sono giocato l’anima nei bordelli di Tangeri e veleggiato lungo terre seguendo l’aria di gelsomini.
Ho pianto nel grembo della solitudine di celle arabe.
Tutto pagato e saldato con gli uomini, e chiesto a Dio nuove rotte per non morire!
No non posso e non voglio diventare tuo amico, potrei rubarti l’anima e trascinarti via con me, potresti anche tradirmi!
Non voglio riprovare nuovamente dolore del tuo tradimento, non voglio le trame oscure, non voglio essere merce di scambio o da esporre perché tu sai chi io sia, e io non so tu chi sia!  Nè vivere nei margini entro i quali ti muovi, né voglio sapere e di chi tu sia il servo.
Il silenzio e il vuoto attorno hanno le stesse voci che sanno incantare dei deserti, e delle rive che un tempo, sorvolai da gabbiano.
Volai alto per avvicinarmi a Dio e ho strisciato fra le rughe del tempo con quel mio alle spalle; ora se potessi la consegnerei nelle sue mani la mia anima! Condannato a riempire pagine del suo nome, a raccontare sogni ad un pastore di greggi sottomessi e vinti dalla paura “ del prossimo a essere sgozzato”.
Ma questo lo fanno uomini dalle mani macchiate dal sangue,
uomini stupidi uccisi dalla loro stessa avidità. Che mondo è mai questo da cui vieni e tu che bestia sei?
Non chiedermi l’amicizia se non sai chi io sia veramente ovunque. 
 
 
 
 
 
 


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