mercoledì 9 luglio 2014



STUPIDITY

Di Vincenzo Calafiore


C’era un silenzio surreale,  e quasi non sapevamo cosa farcene della nostra vita senza quella luce che ogni mattino vedevamo un tempo aprendo gli occhi.
C’era in noi una specie di spaesamento che rallentava ogni nostro pensiero, ci sentivamo delle cose inutili, come tante marionette flosce accatastate in un vecchio sgabuzzino di un teatro inutile e in disuso.
Io ormai era già da tempo che pensavo di mettermi in movimento assieme ad altra gente che come me credeva che da qualche parte ci fosse un luogo in cui certi avremmo ritrovato ciò che ormai era andato perduto.
Nani, eravamo dei nani ricoperti dalle ombre e nelle ombre di alte siepi ci muovevamo!
Ma una mattina aprendo gli occhi trovai seduto su una sedia un “ uomo farfalla”; aveva le ali di colori accesi e un sorriso rassicurante. Volevo alzarmi e raggiungerlo ed ero bloccato nel letto, volevo parlargli e dalla mia bocca non uscirono che suoni grotteschi, le mie mani conoscevano solo e la identica gestualità delle scimmie.
Lui era lì e mi fissava e senza proferire una sola parola si alzò in piedi e battendo le ali volò sopra la mia testa fino a quando caddi in un sonno profondo e sognai….. almeno così m’era parso.
Pianure verdi e laghi, prati e fiori, alte scogliere e mare calmo illuminato da diversi soli al tramonto, e barche, tante barche leggere come foglie che lo solcavano con immensa facilità.
Edifici, pochissimi e niente strade, rumori, fabbriche; tutto era dentro una musica che mi faceva sognante.
Credetti d’essere in paradiso, ma sentivo le mie mani toccare l’erba, potei guardare dall’alto verso il basso, e raggiungere velocemente altri luoghi, ci s’incontrava in aria  o seduti sui rami di alti alberi donne e uomini guardavamo pure le nostre nudità senza malizia, e parlavamo di tante cose.
Un forte rullo di tamburi e lentamente il sipario cominciò ad arrotolarsi fino al soffitto; una mano grande e forte annodò tutti i nostri fili e ancora penzolanti e senza vita ci ritrovammo sulla scena di una parodia che da tempo conoscevamo a memoria e dovevamo recitare per sollazzo. Le note di una marcetta militare  ci animò, all’improvviso come una ventata bastarda e cominciammo a muoverci, a cantare e ridere, lavorare e produrre fino a sera, fino all’ultimo spettacolo quando a sipario chiuso dove venimmo abbandonate, ci sentimmo delle marionette inutili e stupide, peggio delle scimmie appese ad un ramo di un alto albero sopra la terra.

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