lunedì 28 ottobre 2019


Non sono mai andato via


Di Vincenzo Calafiore
26 Ottobre 2019 Udine

“ … ora per me, in questa mia vita
di tante cose mutevoli, tutto dovrebbe essere
comprensibile ed invece mi ritrovo solo
e sconcertato, talvolta disorientato, di più
amareggiato.
C’è però un ritorno … il più delle volte a casa
quella che un tempo ormai lontano lasciai in
cambio di un sogno da realizzare.
E questo sogno adesso è qui!
Peccato che devo andare via, prima
della mia ultima rappresentazione…… “
                                                                                                                                                                            Vincenzo Calafiore

In verità non sono mai andato via e ci ritorno in quella casa, da questo mio  -oltre - ; ci torno per rimanerci. Ora che per me, questa mia vita di tante cose mutevoli, ora che tutto dovrebbe essere comprensibile, ed invece mi ritrovo solo come allora, come i muri di quella casa,corrosi dalla muffa e finestre cadenti. Ora più che mai sconcertato, amareggiato, disorientato.
Dove sono, quella testa da accarezzare e quegli occhi che sapevano guardarmi, leggermi?
Questo mio dannato – Oltre – è un regno che sta dentro, è un tempo non tempo, un non ritorno, ritorno.
In questo mio regno dell’oltre il limite si è rotto, e i colori cominciano a sbiadirsi, a perdere il loro suono e i suoni sempre di meno si colorano, le forme si trasformano ad ogni passaggio di luna su questo specchio di mare, agli occhi miei una lastra d’acciaio.
Vorrei per certi versi fuggire dall’iniquo che come un vestito di seta ammanta questa società, tritata da un sistema che nulla lascia al caso, nulla lascia di se.
E’, che c’è un ignoto da esplorare, questo è l’Amore a cui si arriva senza corpo, perché è andato perduto o mi è stato rubato, ci arrivo senza parole, perché non ne ho più!
Ce ne vorrebbe una magica, che faccia spalancare le porte d’oro del sogno e dischiuda giardini di alghe e meduse, coralli e madreperle nel fondo di occhi amati e mai dimenticati.
Non sono mai andato via!
Ci sono.
Ancora qui, in questa mia prigione dorata che non mi fa volare dove il cuore vorrebbe andare, sono ancora qui a dire sì!
Spalancate finestre su un dolore ancora intimo, ancora prezioso, e un gioco di strofe di mezze parole sussurrate ad un convivio con la morte.
Il mio regno dell’Oltre è il Labirinto in cui inseguo i sogni o sono inseguito dall’una e dall’altro per opposti desideri, per opposti motivi.
C’è la consapevolezza che mai tornerà la felicità di quel sogno incastrato tra cielo e distanza, in verità amore mio agonizzo per una malattia sconosciuta e che non si sa come curare; in questo luogo mi hanno rimesso assieme i pezzi dell’anima per sopravvivere e questo è
-          mi assicurano – una fortuna.
Ma loro, gli altri prigionieri, gli altri morti vivi?
Quelli che ho incontrato in altri gironi dell’inferno, nelle rovine di Napoli, nelle favelas di Milano, nelle bindovilles di Roma e di Genova.
Quelli che protestano contro la fame e le umiliazioni e che, del tutto legalmente si mettono in prigione, si torturano, si impiccano. Quelli che hanno difeso e difendono la propria dignità, la loro stessa esistenza, quelli che spariscono per sempre.
I morti viventi nuovi  dell’ Hiv e delle Dachau del Medio Oriente ridipinte in tutta fretta, dei tumori che divorano e si lasciano divorare bambini, uomini, donne che potrebbero salvarsi e sono lasciati andare per quattro denari dai Baroni, dagli avidi, dagli assetati di denaro per una vita che voli alto sopra la monnezza, sopra i rifiuti, perché tali siamo: rifiuti, merce, animali per la sperimentazione, per la vivisezione, per arricchimento.
Cos’è l’uomo?
Quell’uomo capace di accoppiarsi con violenza con una donna di cinque anni? Che uomo è?

“ Una cella è fin troppo, basterebbe una bara “ per contenerci tutti.

Che è successo alla vita?
Una vita potrebbe essere stilisticamente bella e contenutisticamente interessante, ma non avvincente, non affascinante ed è questa che un manipolo di predatori di vita ci costringono a vivere, una vita non vera!
Nel mio Oltre c’erano delle celle di isolamento simili alle grotte e ci era proibito di parlare, di pensare, però si poteva abbaiare o cose simili che diventa naturale dopo poco tempo di isolamento. E mancava il piacere di raccontare gli orrori assoluti!
Fu allora che cominciai a parlare di fiabe con l’ombra di me stesso, e sono certo ancora adesso che da qualche parte c’è una fiaba, che la fiaba è un dono d’amore.
La verità amore mio è che non si possono scrivere, ne raccontare, inventare favole senza la grande capacità di amare e di dare agli altri la propria anima in pasto affinché ci sia vita, affinché la vita stessa sia continuità, sia un per sempre.
E mi piacerebbe che tu un giorno leggessi le mie favole, anzi vorrei che li leggessi ad alta voce, affinché la vita ti senta, ti desse ascolto!
Affinché tu possa spiegare agli altri che non sono uno scrittore, che a volte la mia fantasia non riesce a trovare una grammatica adeguata, spiegare che io sono sempre vissuto ai margini, nelle piazze, nelle strade, nelle galere, e che qui ho incontrato migliaia di persone dalle quali ho appreso storie meravigliose. Storie meravigliose che mi sono portato dentro e che ho raccontato a quelli con cui mi sono trovato bene di volta in volta, storie meravigliose che ho cominciato a scrivere durante la mia prigione e i lunghi isolamenti totali nel corso della mia condizione, detenzione.
Le ho volute scrivere perché era una maniera per rimanere vivo, per i prigionieri, per i sconosciuti.
Amore, lo scrivere, per me, era un modo di lottare e sconfiggere, l’idiozia, l’ignoranza, la schiavitù, un modo per ricongiungermi con la libertà che è in me, ma anche con loro, bambini, vecchi, donne, barboni, funamboli,  che sono come me: innamorati sempre della vita.
Spiega a chi ti chiederà di me che io sono stato proprio uno di quei prigionieri che ho amato e conosciuto per le strade, nelle piazze, negli ospedali, nelle prigioni, nelle galere, nei manicomi di tutto il mondo. Prigioniero di nessuna prigione e per questo sono rimasto in prigione, com’è naturale in questo mondo rovesciato.
Ti Amo.


Io e il mare

Di Vincenzo Calafiore
25 Ottobre2016 Udine

…. Il mare è come l’amore
quando è calmo ti ci perdi nei suoi occhi
a guardalo bene vedi tutte le sue sfumature
dai blu ai viola; ad ascoltarlo
ti ci perdi nella sua poesia.
E rimani lì seduto sulla sabbia o su uno scoglio
ad ascoltarlo, all’improvviso lo vedi cangiare
s’infuoca e pare che un pittore sulla sua tavolozza
si sia divertito a mescolare i rossi e gli amaranti
tutto cambia, c’è più serenità è sera!
                                           Vincenzo Calafiore

Succede sempre così a sera, quando l’aria comincia a svuotarsi dai rumori, dalla presenza dell’uomo;
il pensiero è già volato via da tempo e fatica a ritornare, penso all’amore e penso al mare è così forte che immancabilmente mi riporta a un tempo in cui ero felice seduto su uno scoglio o sulla riva coi piedi sprofondati nella sabbia ancora calda.
Lì in attesa di qualcosa, ma nel frattempo si manifesta in tutta la sua bellezza il miracolo del tramonto in uno scenario cangiante, mutevole e dolce, il mare è la metafora dell’amore, quell’amore che ti porta via e non ti fa più tornare.

Il mare è lì davanti ai tuoi occhi, lo vedi cangiare colori, ti affascina e ti rapisce, non ti restituisce alla realtà che appena fuori dal confine pulsa di rumori e di lontani echi d’umanità.
Stai  lì è non pensi che il mare potrebbe arrabbiarsi da un momento all’altro, potrebbe risalire la riva, o sormontare lo scoglio su cui sei seduto e portarti laggiù oltre quel confine che lo separa dall’infinito, come l’amore ti porta via con l’inganno o potrebbe lasciarti lì immobile e pietrificato dalla paura mentre ti colpisce ondata dopo ondata con tutta la sua violenza, potrebbe trascinarti giù e su mentre sale la paura di non farcela, di non resistergli.
L’amore è come il mare.

Lo subisci e stai male, hai voglia di rimanere solo, smettere di pensare; allo stesso tempo ti rendi conto che il mare solamente è capace di guarire le tue ferite, lenire il dolore, lui solo è capace di farti guarire.
Il mare è uragano o tempesta, come la persona che ami.
Sa essere poesia come la persona che si ama!

Avevi, una maglietta in tinta rosa antica a mezzemaniche, e un paio di pantaloncini corti, indossavi gli occhiali da sole e venivi verso me col tuo passo sicuro; avevi nelle mani un libro e sorridevi. Ci cercavamo da tempo, ci volevamo da sempre, anche quando le nostre strade si erano allontanate tanto da non ritrovarci.

Da quell’abbraccio, ricordi? Dopo una giornata trascorsa al mare, restammo in pochi ad assistere al tramonto, eri seduta accanto a me… all’inizio il sole si pose dinanzi ai nostri occhi, una luce calda,che sapeva di serenità, li oscurò per un po’ e tu posasti la tua testa sulla mia spalla, potei sentire il loro profumo. Avrei voluto accarezzarli e invece sono rimasto con le mani sulle ginocchia; fu lì che cominciai ad amarti in silenzio, pian piano mentre il sole dopo aver incendiato il mare, si lasciò morire tra le sue braccia, come me che desideravo tanto morire tra le tue braccia.

Qualcuno della comitiva vicino a noi mise il disco – Sapore di Sale – e quella canzone l’abbiamo ballata stretti in un abbraccio che non ho mai più dimenticato, non so te.. ma ballammo tutti assieme fino a notte inoltrata.
Sei andata via lasciandomi addosso il sapore dei tuoi baci, la stretta del tuo abbraccio!

Ai miei occhi rimase affissa la tua immagine per tutto il tempo che sei sparita nel nulla, per riapparire la notte di ferragosto alla “Chianalea”… loro non ci credevano ma eri tu, in carne e ossa, e si risvegliarono tutti i desideri e i sogni che s’erano messi in parte al cuore …….!

C’è sempre il mare nella nostra vita, anche se fa paura, anche se poi viene a prenderti per mano a darti felicità; c’è il profumo … il suo… è profumo di vita.
La vita che non cambia ma che ci cambia, il fuoco che non brucia e incenerisce, questo è l’amore che una volta che è in te ti consumerà piano piano fino alla fine, quando ti rendi conto del tempo che è passato: c’è poca vita e c’è tanto amore, tanta voglia di lei!



La fiaba

Di Vincenzo Calafiore
28 Ottobre 2019 Udine

“ … così succede che a un certo punto
ormai lontano da tutto, vivi la vita,
la tua vita, come fosse una fiaba.
E non te ne vuoi più andare via.
Vivi la tua fiaba non da comparsa
ma da protagonista, la respiri e ti inebri
non ti importa più di quello che fuori
dalle mura accade, non ti appartiene più “
                                                                                                                                                                                Vincenzo Calafiore



Oggi il tempo passa in fretta, invecchia in fretta e perde sempre più senso. La vita stessa ha confini più sfumati, valori da ridefinire: è un vivere in realtà sofferte.
Ma ci sono metriche che la sanno rendere diversa, meravigliosamente diversa, intensa e poetica come una fiaba allo stesso tempo: e queste sono
quel “ qualcuno da amare per sempre”!
E’ una condizione contro una condizione.
Io le ricordo tutte le favole che ho raccontato prima di scriverle, allucinato da un sogno o da follia, e mi parevano anche profonde come la cognizione mia del dolore.
Le ho raccontate tenendo conto del disagio di quegli occhi che mi stavano ad ascoltare.
Vedi, è da qualche tempo che non riesco più a scrivere favole per vivere. Il mio cuore si ferma e riparte quando vuole.
Non puoi immaginare come possa mancarti la sola presenza di quel motivo per scriverle, il rapporto, la conversazione, il gioco … qui in carcere … il cuore si inaridisce.
A un certo punto mi sono mancate le parole, mi sono mancati i colori, le immagini, i pensieri .. i giochi dei pensieri.
Con l’amore non si può bleffare, se non è “ favola “ da vivere, da sentire dentro, l’amore non la vuole e te lo fa capire senza remore, senza ipocrisie.
Se non riesco a trovare le parole, i colori, le immagini per tornare ad amare, l’amore non mi capisce.
Mi ero accorto che le ultime favole le avevo scritte per gli “ adulti” quegli esseri incapaci di sognare, di volare, di trattenere un sogno, e lì che ho smesso.
Gli “adulti” , a parte quelli che sono rimasti dei  - Peter Pan – come me, non comprendono più, si sono dimenticati che ci si può innamorare sempre, di un fiore, che ci si può trasformare in una stella e fuggire via nel cielo.
Gli “ adulti “ si sono dimenticati che gli animali parlano, così gli alberi, le piante, il vento, il mare ….!
Amore, io ho cominciato a inventare favole per raccontarle a chi sa ancora emozionarsi, a chi riesce ancora ad amare, a dire ti amo, a chi sogna ed è ancora capace di sognare, poi mi sono messo a scriverle per farne dei libri, ma solo perché ero e sono ancora in galera, perché i miei compagni di detenzione me le chiedevano perché volevano andare via, evadere dalla prigione, ecco perché.
Non le ho scritte per guadagno, ho cercato però con tutto il mio amore per la scrittura di far si che loro potessero ancora sognare.
Non puoi capire, o forse si, quanto triste sia per me non essere più in grado di scrivere favole!
Per questo mi è difficile vivere.
Ci sono molte forme di morire, ma certo la più tremenda è quella che ho scelto io, io che voglio essere e sono ancora uno dei tanti Peter Pan mi aggiro nel labirinto dell’orrore e provo il dolore dentro me del rischio di perdere me stesso e il mondo. C’è un mondo reale nel sogno, che dice che nei miei racconti c’è vivo quel – ti amo – ed è tutto vero : il pensiero in testa, gli occhi che esplodono nella luce di un tramonto di un’alba, gli sdoppiamenti, la coazione nello spazio ridotto di un – ciao -!




lunedì 21 ottobre 2019


Che emozione, la vita!

Di Vincenzo Calafiore
22 Ottobre 2019 Udine

C’è nell’aria un gran silenzio,
quello che precede la tempesta; porta con se
un profumo forte, intenso, inebriante
come quando un tempo stringevo a me la vita.
Fu allora, che cominciai a capire
cosa significasse vivere, quando
come un cieco con le mani cercai il mio volto
e trovai rughe che immaginai fossero onde
di un mare che pian piano mi ha travolto … “
                       Vincenzo Calafiore

E’ un tempo che scivola via nel silenzio, quel silenzio in cui riappare tutto e c’è anche l’uso delle parole al momento forse anche senza significato, come lo potrebbe essere a volte la stessa esistenza.
Per riconoscermi mi affido alle mie mani, per avere l’esatta mia immagine, il mio volto di ogni tramonto, di ogni sconfitta, di ogni caduta a terra e la fatica del rialzarsi: scopro la mia vecchiezza tutta d’un colpo ed è una forte lacerazione dell’anima.
A volte ho in me la strana sensazione del mio tempo a finire e penso alla morte a come sarà.
Non vorrei ci fosse in quell’occasione tristezza, perché vedi, la morte è un’idea geniale, è formidabile … vai via e lasci il posto tuo a un altro,la stessa identica cosa succede quando finisce un amore.
Ecco, la genialità mi affascina, il pensiero mi affascina, l’idea della vita mi affascina.
Questo vivere è una continua trasformazione che non ti concede il tempo di pensare, è un andare al macello nella più grande beatitudine.
E vorrei che la colonna sonora della mia fine fosse:  “ this is my song “ la canticchio spesso, quando scrivo o vado in giro senza una meta precisa.
This is my song! Oh, quanto vorrei fosse ancora così !
Dietro i miei occhi si compone l’immagine del mio volto, con tutta la vecchiaia disegnata come fosse un foglio di carta, mi scopro senza tempo, senza ragioni.
Sai che c’è?
C’è che in questo mio tempo di attesa senza sapere di cosa, riaffiora con una certa gratitudine la mia saggezza ove si rinverdiscono con grande serenità e pacatezza tutte quelle cose mai realizzate, di più le paure, i timori, le perdute speranze, le diverse voci del silenzio; ma c’è anche il vuoto del silenzio ove rincorro le mie ombre come fosse una dannazione, come una eterna ricerca di un facile impossibile: Che emozione è la vita!
E’ una “ emozione “ continua, palpabile, sottile, trafigge il cuore senza rivoli rossi, e ti fa vedere il mondo che vorresti e che non c’è; raccoglie e tiene in parte, risemina e nascono fiori di bellezza unica, ci fa immagini speculari di altri, di tanti altri altrove, e si prova quel dolore che è vita! Almeno fino a quando la solitudine montando ammanta tutto di grigiore e tutto si palesa in una specie di parvenza di inferno dantesco.
E’ l’Amore la sua propulsione, e se viene a mancare questo piccolo infinito dettaglio di essa, essa stessa non ha significato.
E allora perché lasciarlo morire, perché ferirlo continuamente, imbrattarlo con le mani sporche di sangue? Perché invece non viverlo fino in fondo come fosse una sbornia continua senza lasciare spazio alla brutale realtà che include in se solo che negatività?
Dunque oggi in questa mia condizione sospesa nelle diverse modalità di una vecchiaia stanca rivivendo certi momenti di intensa felicità mi vedo come un melograno sgranato, e allo stesso tempo di ogni granello conoscerne le sue infinite emozioni; amare la mia vita come fosse ogni giorno la prima volta con la consapevolezza che da un momento all’altro, forse in una precipitazione abissale io non potrei più farlo.
Amare con la consapevolezza di non sprecare nulla, neanche le sue dorate polveri che se ne vanno in quel vento che va oltre, oltre la vita stessa.
Amare perché è l’unica certezza quotidiana, che costringe a pensare diversamente, continuamente che è possibile, che è coraggio, che è avventura,desiderio,viaggio.
Io voglio tremare, tremare di felicità e di orgoglio, di desiderio e di speranza, di sogni e di sogni ancora almeno fino a quando ci sarà vita.
E’ così che la vita, la mia vita diventa libro e un buon libro deve raccontarsi da solo, senza necessità di spiegazioni!

domenica 20 ottobre 2019


Tra Scilla e Messina
( Ovvero Tra Scilla e Cariddi )

Di Vincenzo Calafiore
21 Ottobre 2019 Udine

.. per me che sono nato
nella meravigliosa Reggio è
motivo di orgoglio, allo stesso tempo
è raccontare la storia, la poesia
di  due luoghi che sanno di fiaba:
Scilla e Cariddi. Per me è stato
ed è ancora adesso vivere lontano da essi.”
                Vincenzo Calafiore

Ora mi pare d’essere, ridotto a vivere come un fantasma, nella contemplazione di un mondo di luce e di colori, o da gabbiano sorvolare con la mia fantasia quei cieli che a fatica si distinguono dal mare.
Mi sembra, col permesso della mia vecchiaia, adesso che posso, di lasciarmi andare a quell’antico desiderio, di staccarmi dalla realtà brutale e di sognare. Forse per raccontare ancora una fiaba a mia figlia.
Forse per il mio alzarmi presto, sia d’estate che d’inverno, col bello e il brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle viste da un balcone che si affaccia sull’orrido,e da finestre che hanno una fetta di cielo limitata, in inverno. E immagino di uscire, andare in spiaggia e lì sedermi ad aspettare l’alba, come facevo da giovane spiaggiatore che ero e sono ancora adesso. Aspettare l’alba coi suoi dardi di luce che fuga le aride ombre della notte, i sogni, le illusioni, e riscopre verità sommerse, la mia terra, il mio mare, quello Stretto solcato dai traghetti e bastimenti, da ogni barca, sfiorati dal vento d’ala di gabbiano.
Quello Stretto inciso come una tela o un foglio nelle mani di una bambina, di azzurro nell’agosto o settembre, segnato dall’ombra di quei tralicci che portano con lunghe campate, corrente a Messina; dalle sfumature di Punta Faro agli accesi azzurri di Scilla, che sono come antenne dritte sparate in cielo, dritte come spade dalle prore delle feluche.
Che vanno su e giù per il canale a caccia dello spada, erranti e veloci ombre sull’acqua che spaventano i pesci che dal basso le vedono e scappano giù nelle profondità per paura.
E’ un luogo magico, quello stretto, quando si sveglia la Fata Morgana o quando barbagliano  parabrezza di auto e corriere come a Gallico e Catona, anche verso Messina dal porto fino a Mili, Ganzirri, Rasocolmo, barbagliano gli aerei, le creste di spuma lasciate dagli aliscafi.
Mi ritiro sconfitto nello studio come prigioniero di sogni alla scrivania, sognando la feluca che tira a bordo uno spada, azzurro e argento, e antichi – lontri -  come a riparare antiche reti, ritorno a tessere ricordi e sogni, miei e della mia vita.
Sono sogni stanchi, ricchi di memoria, che rilasciano orgoglio, amore per la propria terra, poesia per un tratto di mare che a saperlo guardare è grande come un oceano.
Questo infinito di azzurri e di bianchi, di storia e di paure, di morte, d’avventure.
Sono nato a Reggio Calabria secondo di due maschi, non lasciavamo tregua a nostra madre con le forchette che rubavamo e legavamo in cima a una canna a mò di fricina per infilzare polpi; aspettavamo al porto le barche cariche di costardelle, e giocavamo a fare i pirati da una barca all’altra, all’ancora davanti alla spiaggia.
E non ricordo più quando salii la prima volta in barca, ho negli occhi la vista dello Stretto, il buio del suo ventre scuro e cupo come una caverna senza fine.
Ho negli occhi la draffinera ( o fricina ) che penetra la pelle, nella carne dello spada che s’impenna e s’inarca dal dolore, che corre a filo d’acqua e si inabissa sparendo portandosi dietro il filo della sàgola, il sangue che disegna la sua rotta.
Ho negli occhi li marinai che lo tirano a bordo, grande e fiero, pesante di morte, legato per la coda, la bocca aperta con l’ultimo urlo, la spada giù come un cavaliere sconfitto nella battaglia.
Ho negli occhi i suoi occhi grandi e tondi, fissi che guardano il mare e oltre, oltre noi, oltre la vita!




sabato 19 ottobre 2019


Ti sei chiesta mai..

Di Vincenzo Calafiore
20 Ottobre 2019 Udine

…. e speri in cuor tuo che si fermi,
che resti lì, in quel filo di vita fra orizzonte
e mare, dove i tuoi occhi cadono sempre.
Noi siamo lì, in quel tratto di vita
agli occhi estranei, segnati dalle lunghe
assenze, opachi di solitudine.
Rimane una preghiera intima e preziosa
scandita dall’unico tempo di un verbo
arcano, che sa di magiche atmosfere: io t’amo ! “
                                Vincenzo Calafiore
( Chissà quanti si trovano in questa ipotetica situazione)

La “ Pegasus “ barcheggia all’ormeggio in una sospensione di tempo non tempo, è si vorrebbe andar via lontano da ogni cosa, ma si rimane in un’attesa che scompagina e arruffa pensieri ai bordi d’una esistenza macerata dal disgusto e dal dissenso di questo immane catino di tante cose diverse messe assieme.
E c’è l’esigenza di rimanerne fuori, distante il più possibile da questo.
Guardo fuori da un oblò e c’è guerra ovunque, un orrido in cui cadono uomini che hanno solo voglia di usare armi e violenza.
Il mio pensiero corre lontano,si ricongiunge in un punto ben preciso di uno spazio distante da ogni ovunque, ed è un – altrove – che solo noi abbiamo potuto conoscere, che conosciamo, che era nostro.
Sono come i vetri d’una finestra perlati dalla prima pioggia di questo autunno, nei riflessi di colori che donano poesia, e quella sottile tristezza che immancabilmente porta seco intime tristezze, immaginazioni sempre più vive sempre più distanti, sempre più verso la fine.
Ti sei chiesta mai quale senso dare alla vita?
Vita che non finisce mai, perché la vita stessa è un sogno e i sogni non hanno mai fine; ma questo lo dicevano anche le nostre mani, quando passeggiando su una riva pensavamo a un futuro che sapeva di continuità.
Lo sapevamo e ne eravamo convinti: l’amore è quel vento improvviso del deserto che alzandosi copre ogni cosa, acceca …. Ma sapevamo anche che quando c’è l’amore tutto è luce e quando se ne va tutto è freddo, arido, lontano dalla vita.
Ti sei chiesta mai cosa rimane?
Te ne sei andata via, piano piano, lasciando poche impronte di te, come a voler essere dimenticata, ma non è così, perché quello che è stato non va mai via dalla nostra vita è un tormento che rimane, è un sogno che rinverdisce e rifiorisce ad ogni stagione dei sogni, è un cielo a cui gli occhi vanno ogni momento del giorno.
Se tu sapessi cosa sei ora,
se tu sapessi che significato sei, nelle quotidiane parvenze, nelle sottili attese di un cenno che non arriva, che non c’è, che manca.
C’è che se chiudo gli occhi si presenta il tuo viso, quello che le mie mani stringevano per rubare un bacio, ancora limpido e presente.
C’è che se mi guardi negli occhi, ti ci troverai tutta!!!!
Così l’amore come prende, toglie, e lascia dolore, confonde e lascia tristezza.
L’amore ci fa fare follie, riempie gli occhi e li fa brillare al buio, un po’ come te, quel calore che non scalda più, quella forza che non c’è più, quel sorriso che sparisce.









venerdì 18 ottobre 2019


E ritrovarsi

Di Vincenzo Calafiore
18 Ottobre 2019 Udine

… le volte che ci siamo arresi,
le volte che abbiamo perduto tutto
dentro una risacca che non si è mai
allontanata dalla riva! “
                      Vincenzo Calafiore
Avevamo in mano, nelle nostre mani, la felicità!
E l’abbiamo lasciata andare via dalle nostre mani schiuse, come una farfalla!
E pensavamo all’eternità, a un sogno realizzabile, a un abbraccio, a una parola.
Ma siamo rimasti prigionieri di un qualcosa che sa di limo, limaccio su cui a volte vanno a morire le farfalle, non siamo stati in grado di difenderlo il nostro viversi, e tu sempre più lontana, sempre più prigioniera, sempre più appartenente a un dio di carta che solo ai tuoi occhi è !
E’ un baratto tra il dare ed avere ! Tra detraente e vittima.
E tu lo sai che la vita non è questa, questa non è vita, e una falsa vita, un inganno.
Sai cosa c’è di bello, da queste parti?  Noi camminiamo nella nostra vita, lasciamo molte orme sulla sabbia, e loro restano lì ….. fino a quando una nuova marea non salirà e domani, torneremo su quella spiaggia in cerca delle impronte e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente, non ci sarà più niente! C’è che il mare della vita cancella ogni cosa, perfino noi …. Ma la marea nasconde ogni cosa: è qui l’inganno! E’ come se non fossimo mai esistiti, come se non fossimo mai passati per questa vita! Se c'è un luogo, al mondo, in cui non pensare più a nulla, quel luogo è qui …… è memoria. Non è terra, non è mare. Non è vita. È tempo. Tempo che passa. E va via portandosi via ogni cosa.  La malinconia te la portavi addosso come un profumo,che tanto mi piaceva; la sapevo leggere e scrivere quella malinconica attesa della felicità che coi passi veloci dinanzi ai tuoi occhi venne un dì a dirti che la vita è altrove.
Ma come fai a vivere senza più le brezze delle albe attese da un punto all’altro del cuore? Come fai a non ricordare le vellutate notti in un giaciglio lunare, quando ti immergevi in quei sogni che aspettavano solo che l’occasione di realizzarsi? Le notti soffocate dall’assenza, le notti che palpitano d’amore, quello che cercherai di arginare ma che in realtà vive di penombra in ogni tua fibra, la tua notte afona.
Di infinito non è rimasto che il cielo coi suoi sfumati colori, per le sue stelle lontane, il mare per le sue infinite gocce di solitudine e il tuo cuore per i suoi lunghi silenzi invernali.
Amare è una  - brevità – così breve, e lunga invece dimenticare. Le volte che ci siamo arresi,
le volte che abbiamo perduto tutto dentro una risacca che non si è mai allontanata dalla riva, le volte che abbiamo sperato in un sì della vita…. tutto lasciato ai lembi di sfocate solitudini, ove si rimarginano vecchie le ferite di ieri. E’ all’alba, tutte le albe, che si seppelliscono i sogni vissuti nelle speranze vive e sepolte assieme, è all’alba che si consumano come sassi dalla risacca che li trascina in un su e giù continuo fino a farne sabbia di una clessidra alla fine dei giorni; così ogni amore è un dramma impercettibile, una lunga serie di insopportabile dolore. Tornano più che mai solitudini, un vento inebriante che spira tristezza, tornano…ed è un veleno che uccide lentamente, è una maledetta sofferenza non per la solitudine vissuta, ma per il contare niente e nulla per nessuno. E’ il non sapere cosa sia peggiore, non sapere chi sei o essere quello che sempre si è stati: soli!















giovedì 10 ottobre 2019


Dirsi addio





Di Vincenzo Calafiore
10 Ottobre 2019 Udine

“ … a volte molte cose
si danno così tanto per scontato
che si arriva a perderle… succede
e poi arrivano gli echi di parole
dall’inferno….. “
                      Vincenzo Calafiore

Chissà se il mare sarà ancora come lo lasciai tempo fa… , a queste ore di notte, oltre il buio attorno, lascio la stilografica dopo averla richiusa sui fogli già pieni di segni e parole; in mente tutta la scenografia e i fondali dello spettacolo: “ Socrates “.
Dal balcone fumo la mia ennesima sigaretta e mi par di essere affacciato da una nave che solcando il mare si allontana sempre più dalla vista, è uno sprofondare nel buio totale, un salto nel buio dei secoli, con la paura addosso dell’ignoto che attende e trama trappole infernali, per ricondurre all’inferno dal quale un tempo, una sirena, Amore, riportò alla luce:
Socrates e Pericles, due grandi, diversi e uniti dallo stesso unico pensiero: la libertà.
Ma c’è un altro pensiero ed è quello di avere la parte più vera tradita, quella che si tiene più nascosta, quella che ha a che fare con la musica e la poesia, con la conoscenza, con la vita!
Certe scelte, non scelte si fanno come se non ci fossero alternative e invece ci sono sempre, solo che a volte il cuore fa finta di niente e ubbidisce all’ignoto che c’è in noi e quando succede, è un precipitare all’inferno.
E’ il corso della vita, nel bene e nel male, nell’amore e nel disperato no.
Come dimenticare di quando andavo per mare sperando di essere portato via da un’onda, come dimenticare quelle sere in cui mi addormentavo solo sperando che la mia vita potesse assomigliare alle storie di un libro che leggevo di nascosto, illuminato da una torcia sotto le coperte.
Nonostante ciò, non ho smesso mai di sperare in qualcosa, qualsiasi cosa, che qualcuno mi abbracciasse, che qualcuno si accorgesse di me, della fatica del mio vivere, allora in quella solitudine.
Come dimenticare le piccole vittorie, i dolori dell’anima che come minuscole gocce d’acqua  consumano il cuore, quando nel buio dicevo a me stesso “tranquillo,ci sono io ” non avere paura! E ce n’era tanta; erano segni che andavano a riempire quel diario da cui poi attingere, per ricordare a me stesso senza nulla dimenticare.
A queste ore di notte i pensieri sono tanti ed è come darsi un addio, per sempre ponendo fine a un mercenario allusivo; e capisco che le cose le puoi vivere mille altre volte ancora come fosse la prima volta che si incontra la vita con lo stupore di chi prova amare ancora.
Ma c’è l’esigenza più per sopravvivenza di voltare pagina di un diario su cui sono state annotate tutte le sconfitte, le volte che ho perso, per ricordare a me stesso da dove giungo e cosa sono, essere tuttavia poi, alla fine ricordato senza alcun rimpianto, senza dover riascoltare la voce della vita che verrà a dirti- mi spiace, sono stata un sogno sbagliato- !
Io penso a quei giorni, e li rivivo  per non perderli, anche se ormai sono stati annotati per gli anni che verranno, allora già assunti come ricordi.
Verrebbe voglia di scriverlo    -  che pena  -
Qualcosa da salvare c’è, ed è l’orgoglio, l’orgoglio di essere quel che sono!
Ma siamo così arroganti, così stupidi quando pensiamo che la vita ci appartenga, dimenticando che ci è data solo che in prestito per gestirla in un arco di tempo, più o meno lungo, tra le infinite difficoltà generate dalla nostra cupidigia, dall’avidità, che al posto di ali, ci fa avere delle braccia e delle mani, per stringere e trattenere, o lasciare e gettare.
E’ la nostra stupidità, la nostra superbia a farci vedere un mondo come a una finestra socchiusa, una di quelle finestre che basta una folata di vento che si spalancano e ti mostrano in un attimo tutta la meraviglia e l’amore che c’è. Che mi potesse bastare la mia immaginazione per volare … ma certi giorni non arriva vento e ci saranno voci che non avranno mai un volto, canzoni che non saprò mai quali cuori andranno ad accarezzare, abbracci che resteranno nella memoria.
Chissà se nel tempo a venire avrò il desiderio e la felicità nello scrivere, di creare qualcosa, qualsiasi cosa, che non sia più mia. Qualcosa che poi, quando mi si spezzeranno le ali, perché succederà, perché succede sempre, io possa rimanere a galla in quel blu che da terra ho sempre guardato.
E’ un rimanere in mezzo a tanta solitudine, tra le crepe e gli squarci, i vuoti, i legami spezzati, le inquietudini.
Che ottobre non mi lasci, quella sua malinconia nell’attesa d’una felicità di dentro! Lontano dalle maschere, da chi sa bene fingere e recitare le sue parti !
E tu vita ti prego non dimenticarti di quella mia trascorsa di fronte al mare.


martedì 8 ottobre 2019


woman-2435291_960_720.jpgSe hai un sogno, lo devi proteggere


Di Vincenzo Calafiore
09 Ottobre 2019 Udine

…. Non permettere a nessuno
di portarti via il tuo sogno.
Non permettere a nessuno di distruggerlo.
Se hai un sogno inseguilo, proteggilo! “
           Vincenzo Calafiore


C’è una – distanza -  tra i sogni e la realtà si chiama “ Amore “ ed è assolutamente vero. Lo si può vedere nei molti aspetti della vita ma soprattutto quando riguarda un viaggio, il tuo o il mio viaggio.
Certe destinazioni si sognano sin da bambini.
Penso ai tanti innamorati della Grecia senza esserci mai stati, persone a cui si illuminano gli occhi anche solo sentendola nominare, quella nazione dalla cultura antica o culla della civiltà.
E la sognavo, l’ho sognata!
Ed è stato bellissimo sognarla per anni, per una vita intera, leggendo libri, studiando Socrate, Platone, Omero e poi lasciarla andare, consegnandola al mondo onirico che puntualmente la ripropone per fartela ancora di più sognare e amare, fino a diventare un legame.
Col rischio di ritrovarmi a un certo punto della vita mia pieno di rimpianti.
Non c’è nulla di scontato in questa vita, specialmente quando si parla di un sogno o di qualcosa di così imprevedibile come l’amore stesso.
Ora è un tempo più da maledire che da ricordare, non sono stato in grado di difendere il mio sogno; ho imparato anche che niente dura per sempre, e che quel “ per sempre “ altro non è che una grossa bugia. Perché questa vita, che vita non è, è un treno che si muove vertiginosamente, è un treno che passa una volta sola e se lo si perde è un vero per sempre.
Ho imparato nei miei silenzi e nelle mie distanze, nelle lontananze che la felicità o il segreto della felicità sta nel non smettere mai di pensare alla felicità; quella felicità che mi ha fatto anche piangere di gioia, quella che mi ha costretto di correre e di raggiungere il mare a cui consegnare tutti i pensieri, tutte le delusioni, tutte le sconfitte.
E si vive da sconfitti, senza più il coraggio di guardare il cielo, senza più il desiderio di lasciarsi rapire da un sogno!
In questi tempi ostili, così freddi e pieni di negatività, è vitale essere ancora capace di sognare, concedermi io stesso una possibilità ancora di provare a sognare, perché il mondo ha necessità di sognatori e oggi più che mai.
E quindi ha bisogno di viaggiatori viaggianti, ha più che mai necessità di una “ Pegasus “ per raggiungere la felicità del rimanere ed essere protetto da un sogno!
Ma questa società odiosa e perfida, insaziabile ipocrita, ci vuole tutti omologati, freddi, rapidi e calcolatori e io non so fare la somma di due più due, amo sognare perché sognare significa avere un rifugio che protegge, sempre accessibile, lontano dal bailamme di parole inutili,  dalle promesse vane e inutili, dai giuramenti ipocriti.
Il sogno è dove mi nascondo in queste serate di triste nostalgia, per quanto è andato perduto, per quanto non vive più, per quanto è stato tradito.
A volte i sogni sono così reali … ti svegli e hai come l’impressione di avere provato davvero tutte quelle emozioni. Ricordi perfettamente i brividi, i battiti del cuore accelerati, la paura di perderlo.
Un sogno è così forte da allontanarmi dalla realtà, è una “ Pegasus “ e quando accade non riesco più a distinguere l’uno dall’altra. I confini diventano sottili, confondibili, impercettibili e quella notte credo di aver vissuto un sogno. Un sogno che rimarrà mio per tutta la mia vita.
Non mi capita spesso avere un rapporto così forte e intenso con il protagonista di un mio libro, è altrettanto vero che non mi è mai capitato di cambiare il mio giudizio nei confronti dello stesso personaggio, grazie forse all’evoluzione della trama che lui stesso impone e vuole che sia. Forse anche dalle riflessioni che mi accompagnano nello scrivere l’intero romanzo.
Proprio le riflessioni, i pensieri e i confronti, sono e saranno la parte più importante, quelle che portano poi a comprendere quanto si sia stati ridicoli e stupidi, idioti in certe situazioni, ed io lo sono stato.
E penso alla vita, alla mia stupida vita, che andrebbe accartocciata e cestinata.
Ma la vita è un sogno, capace di condizionare il percorso. E’ un sogno capace di costruire i tasselli più belli e fondamentali della mia vita e proprio per questi motivi continuerò a scrivere romanzi e a custodire, proteggere i miei sogni, anche se uno è stato distrutto e violentato in tutto il suo “ essere “ significato vitale di una intera esistenza.  




lunedì 7 ottobre 2019


Non si capisce, che cosa siamo…e ci inventiamo la vita


Di Vincenzo Calafiore
08 Ottobre 2019 Udine

…. Non conosciamo quasi niente della vita,
e cerchiamo in tutti i modi di raggiungerla.
Non riusciamo a comprendere l’amore che ci
circonda, eppure parliamo di amore.
Quanta superbia ed arroganza è in noi…
Quanta povertà sta in colui da non
comprendere la parola: t’amo!
Forse siamo prigionieri dentro una prigione
in cui volgiamo lo sguardo soltanto verso una direzione
e quello che osserviamo: è la proiezione della realtà,
non la realtà! “
                             Vincenzo Calafiore
Un ignorante non conosce l’enorme estensione della sua ignoranza. Un sapiente conosce invece la piccolezza del suo sapere. Non so più da quanto tempo io scriva, ma ricordo di aver sempre trattato i diversi aspetti dell’Amore e della vita, l’una dipendente dall’altra; ma è altrettanto vero che non ho mai scritto per gli imbecilli e forse per questo motivo il mio pubblico è molto ristretto.
In fin dei conti è di “ conoscenza “ che bisognerebbe nutrirsi, poiché la conoscenza è vita. E noi non conosciamo niente della vita e della realtà.
Cerchiamo in tutti i modi di emanciparci, informarci, comprendere ma cosa effettivamente sappiamo di quanto ci circonda?
Quanta superbia ed arroganza abbiamo in ogni nostra azione?
Siamo tutti indistintamente prigionieri dentro una caverna, una prigione in cui volgiamo lo sguardo soltanto verso una direzione e quello osserviamo è la proiezione della realtà, non la realtà.
Davanti ai nostri occhi si palesa l’ombra delle cose, l’apparenza degli eventi che viene proiettata da una fiamma alle nostre spalle. E sono così pochi coloro che si elevano da questa condizione di schiavitù e di limitazione insieme che quando ciò avviene poi è molto difficile ridiscendere nell’antro da cui si è partiti per spiegare le cose celesti che si sono viste. Perché non si è creduti.
Platone, filosofo ateniese, ci racconta cosa sia la vita, dopo essersi interrogato sulla conoscenza del mondo da parte dell’uomo, ma comprende e spiega la nostra misera condizione umana.
Socrate non scriveva e nell’opera filosofica la Repubblica, scritta in forma dialogica tra il 390 ed il 360 a.C., Platone si interroga sul concetto di giustizia, sulla virtù, sull’educazione, sulla forma ideale, sulla gnoseologia e, nel settimo libro del testo, si sofferma a spiegare attraverso un esempio concreto la sua concezione della conoscenza vera e della conoscenza falsa nonché la triste condizione in cui vive. Ignorante e imbecille, questo siamo!
Gli uomini sono nati e cresciuti nel fondo di una caverna, con i piedi ed il collo incatenati, costretti a volgere lo sguardo davanti a sé. Dietro di loro una fiamma e tra il fuoco e questi prigionieri si frappone un muro sotto cui scorrono altri uomini che trasportano sopra il loro capo vari oggetti. Questi manufatti che riproducono immagini di animali e statuette, passando sopra il muro, vengono proiettati sulle pareti della caverna dove si posa lo sguardo degli uomini incatenati.
Cosa vedono dunque i prigionieri? Soltanto simulacri.
(Lo scrittore si alimenta di fantasia e la stessa in altra forma la consegna a chi lo legge. Il giornalista dovrebbe scrivere soltanto la verità e poi consegnarla….) Non animali veri, non oggetti reali ma il loro riflesso, la loro ombra. Quelle immagini come ombre passano davanti agli occhi di quegli uomini che non conoscono e non hanno conosciuto altro se non quelle raffigurazioni. E cosa è la realtà per loro se non quello? Ombre inconsistenti che si stampano sulla roccia e che vengono ritenute reali. Se poi gli uomini che conducono queste statuette parlassero pure tra loro, ai prigionieri incatenati arriverebbe l’eco delle loro parole che scambierebbero per il suono di quelle ombre.
Che succederebbe se uno dei prigionieri si liberasse e riuscisse a risalire in superficie? All’inizio sarebbe accecato dalla luce del creato e dovrebbe aspettare molti giorni per abituare la vista a tutto quel bagliore. Successivamente comincerebbe a scoprire il mondo, a vedere prima le ombre poi piano piano le cose, gli oggetti che lo circondano e capirebbe che quello che riteneva vero in cattività era semplicemente la proiezione della realtà. Allora, riscenderebbe per liberare i compagni e per dire loro che sono prigionieri  che la vita così come è si trova al di fuori della caverna. L’uomo non verrebbe creduto, verrebbe deriso e forse anche ucciso dai compagni che preferirebbero rimanere nella loro condizione misera ma conosciuta anziché dover affrontare la fatica della risalita ed il possibile accecamento. Perché ciò che percepiscono i prigionieri è per loro la realtà e chi ha sempre vissuto in cattività non può conoscere altro se non ciò che i propri sensi hanno percepito.
Essere, ignorante o peggio ancora imbecille.
  …. Todos los que habitan el planeta, incluyendo los locos , los idiotas, tienen derecho a la palabra publica….