venerdì 30 settembre 2016



Vivere

di vincenzo calafiore
1 Ottobre 2016 Udine


Purtroppo è divenuto cosa quotidiana, osando, potrei facendo a me stesso violenza, ammettere il “ quasi nella norma, normale” non è così.
Quello d’essere schierato a favore e con la donna è per me un principio sacrosanto e quando i giornali e le televisioni lanciano certe notizie ci rimango male tanto dal rifiutarmi di continuare a leggere o di ascoltare.
Della violenza sulle donne, o alle donne ne parlo e scrivo sempre è un tema ricorrente quasi una campagna personale di  sensibilizzazione rivolta ai giovani, sarà giusto o sbagliato, perfino noioso ma è di coscienza che si tratta, per me un dovere personale come un grazie alla donna.
Per fare ciò mi affido a quel bellissimo mezzo ( se usato correttamente) che è Fb, ma anche al quotidiano per cui scrivo ed è grazie a loro che lo posso continuare a fare finchè ci sarà vista.
Potrei osando definirmi l’amico delle donne, ma mi ritengo invece un uomo che non accetta l’uso della violenza nei confronti di colei che regala e dona, che ci fa sognare e anche a volte arrabbiare, ma è sempre la nostra sposa, la nostra donna, la nostra dispensatrice di gioie e dolori e perciò se le cose non vanno per il verso giusto bisogna che si chiuda nella maniera più umana possibile senza l’uso della violenza.
Forse sarò un uomo, maturo pure, con tanti anni alle spalle di “ navigazione negli oceani “ propri dell’unione tra uomo-donna e sarà questa esperienza a farmi dire no, ma sono anche quell’uomo che spera ancora alla sua età di settantenne d’essere rapito da un sogno, da un grande sogno e che avanzando gli pare d’essere superstite a una catastrofe di cui nessuno si accorge.
Scrivo non per ricevere un “ grazie “ avrei già smesso da molti anni fosse per questo, e mi piace immaginare l’esclamazione al suono della notifica di consegna al destinatario del mandarmi a quel paese, o che ne so anche di cestinare la mail con l’allegato, così anche su Fb , per pochi o poche al resto o per il rimanente è un qualcosa di poca rilevanza, meglio leggere di unghie e di scarpe o di vestiti, sperando pure di non essere mandato a quel paese.
Penso anche che l’errore più grande sia commesso nella famiglia, quando si permette ai propri figli di possedere una diavoleria con la quale potere fare e visionare la qualsiasi cosa, specialmente i film pornografici.
Figli a volte con troppa libertà e fiducia loro concessa.
Che mi ricordi io questi film pornografici gli uomini andavano a vederseli in certe sale cinematografiche  o si acquistavano delle riviste a questo genere dedicate, vietate ai minori, ma oggi quando i nostri figli sono lontani dallo sguardo e dal controllo familiare cosa si sa dell’uso che ne fanno?
Ogni mio risveglio è come una città che riprende il suo sordo battito che ricade come un grido d’accusa, diviene una condizione ideale per lo stato d’animo come tanti che si getta stordito dietro le spalle ogni giorno, è come buttarsi giù da una rupe.
Uno stato d’animo che si riduce di volta in volta a puro evento: ogni giorno una donna muore per la violenza subita!
E’ una specie di racconto dell’orrido che si inanella episodi su episodi, scarnificandole e trasformandole in frantumi, esemplari di un universo di miraggi azzerati, di passioni incenerite, di educazione e rispetto vanificate.
La scrittura di questo romanzo si assottiglia fino a raffigurare anche l’insignificanza di un gesto, poi si amplia e la pagina paradossalmente prende vigore là dove si spezza in aneddoti di quelle tante vite spezzate o bruciate.
Scrivo e non mi aspetto un grazie, lo faccio perché ritengo sacra e inviolabile la libertà e la dignità della donna, non capisco poi come si possa dirle “ t’amo “ se poi esso stesso è significato di pienezza momentanea esclusivamente sessuale, e non ad esempio per i suoi occhi, per la sua grazia, per il suo voler rimanere con te perché è di te, di entrambi che si ha necessità.
Quindi questa o quella-quelle pagine va a finire che consuma la propria spinta e rilancia in atteggiamenti diversi le derive delle esistenze; nascono altre accelerazioni, imprevisti impulsi di umanità risvegliata da un incubo: il femminicidio.
E allora una rinnovata speranza rimette in moto una catena di solidarietà una catena che sgrana i molti episodi di violenza.
Passano nella memoria o finiscono nel poderoso cestino in cui si gettano gli animi, gli amori, i sentimenti, i principi, la donna!
Anche oggi sono riuscito a fare cadere una piccola goccia in quel lago stagnante senza orizzonti ne soli o venti che portino ossigeno: la speranza!

mercoledì 28 settembre 2016


A….. ecco di nuovo il Ponte

Di vincenzo calafiore
29 Settembre2016 Trieste

La notte si presentò come un velo nero ricamato d’argento sul viso di una donna, con tante stelle!
E’ la “ noche flamenca”, voluta e aperta dai sogni, la notte in cui si animano e prendendo vita passo da uno scenario all’altro decisamente incontrollabili.
Sono uno spettatore colto da improvvise esplosioni di colori e di profumi che mi fanno mancare il respiro; e vedo le ginestre, la zagara fiorita e mielosa è una notte in cui forse qualche mio sogno potrebbe realizzarsi finalmente dopo una vita spesa a rincorrerli tutti persi all’ultimo metro di notte frantumata dalle aurore trascorse.
Allora che io ricordi, mi ero preparato alla battaglia e affilato parole e pensieri contro un nemico di sempre della mia terra: lo Stato Italiano!
Già noi “ Calabresi “ ci sentivamo ostaggi di uno Stato che per secoli ha fatto di noi schiavi tenuti imbavagliati e incatenati, ci siamo sentiti sfruttati, come delle “puttane” messe su strade di grandi comunicazioni a svenderci.
Così è stato da sempre, e non abbiamo mai dimenticato che delle “ puttane” in carriera politica per loro personale agio e potere s’erano messe in politica svendendosi ulteriormente e tramando proprio contro la loro terra la : Calabria.
Queste serve di Roma, per anni hanno permesso a uno Stato non Stato di fare tutto e di più …. come nella immaginazione collettiva calabrese, abbiamo visto queste attorno a tavole imbandite spartirsi territori e affari sempre a nostro discapito.
Ci hanno presi per il culo con la “ Cassa del Mezzogiorno “ una specie di cassa o bancomat comune per gli intrallazzatori prezzolati che pur di fare soldi hanno creato delle cattedrali nel deserto, hanno fatto opere che non sono mai servite a nulla, hanno promesso fabbriche che non sono mai decollate, hanno fatto porti che si insabbiandosi non ne permettevano l’uso, hanno deturpato un paesaggio fantastico, hanno distrutto un tessuto sociale importante con una migrazione nell’eldorado del nord dove siamo stati ghettizzati, siamo stati annessi al Regno d’Italia militarmente e non per plebiscito o libera scelta.
Ancora oggi ci sentiamo “occupati” e sfruttati, tenuti immersi in una specie di costrizione che ci permette solo il respirare.
La mia terra è meravigliosa! E’ capace di fascinare coi suoi fantasmagorici panorami, coi suoi borghi antichi, con i suoi castelli e boschi fatati ove vive il lupo della Sila, con le sue mandrie di cavalli selvatici, coi suoi fiumi bellissimi che corrono in spettacolari forre.

“ Incredibile week end per i nostri istruttori di Sopravvivenza di Survivre che si sono avventurati con i loro colleghi Angelo Lucchese e Gianfranco Mazzuca in Calabria nelle forre. Queste gole profonde scavate nella roccia calcarea dall' acqua per migliaia di anni, creando percorsi incredibili, sul fondo del bosco e ancora più giù. Abbiamo preso un volo Bologna - Lamezia Terme dove siamo stati portati a fare una super colazione del luogo. Cornetti giganti ripieni di crema al cedro (agrume del posto), dopo una mezza giornata di prove su una parete dove hanno testato la capacità di Marco e Giorgio di stare sospesi, calarsi, fare nodi sicuri e imparare le nozioni base per un' esperienza in sicurezza. Quando si affrontano avventure del genere la cosa importante è infatti essere preparati, lucidi, riposati e dare la massima collaborazione a chi ci accompagna che di fatto ha la responsabilità della nostra incolumità. Il pericolo è piuttosto evidente, si è in mezzo a rocce bagnate e si affrontano salti, tuffi, discese. Dopo la prima fase di allenamento superata veloceme ci siamo avventurati nella prima forra che potete seguire nei video ... dalla quale siamo usciti a buio completo verso le 18.30 con l' ausilio di torce frontali e subaquee. Dopo una serata in giro per una sagra di paese abbiamo dormito in una piccola casetta nel bosco riparati dal freddo nei sacchi  a pelo visto che eravamo in cima a un monte dal quale si vedeva il mare di questa meravigliosa costa calabrese …!!

 
Ora torna l’incubo del ponte sullo Stretto!
A chi serve?
A noi calabresi non serve avere questo ponte che proietterà perennemente la sua ombra su un mare meraviglioso.
A noi calabresi, questo ponte non serve se per farlo sarà mutato e stravolto dal cemento un bel pezzo di terra, “ Cannitello “ la costa dei gelsomini!
Allora in difesa della nostra terra era nato il “ Comitato per il NO al ponte “ e ora?
Ma ci sono quelle “ puttane” che d’accordo con Roma fanno si che questa maledetta idea prenda piede, che si realizzi un’opera che non servirebbe a un cazzo di niente.
Roma vuole creare posti lavoro? Lo potrebbe fare lasciando le cose come stanno promuovendo turismo, lasciamo le cose come stanno con quei paesaggi mozzafiato e con le fragranze sospese nell’aria che ti levano il fiato.
Lasciamo le cose come stanno, dell’essere accolti dalla disponibilità e dalla cortesia tutta calabrese, dalla grande capacità imprenditoriale dei calabresi che sanno come accogliere un ospite.
Vedi, Roma! Noi ci siamo stufati di essere stati per secoli tenuti come “riserva personale tua di caccia”, ci siamo stufati di quei pagliacci arroganti che stando al potere per secoli ci hanno preso per il culo.
Se tu intendi veramente ritenerci cittadini al pari di quelli del nord, levaci i bavagli e non tagliarci più le ali, finiscila di intrallazzare con i le puttane calabresi e i loro papponi, parla e progetta con la gente buona e sana che tanto onore ti ha dato in questo tempo sperduto.
Se tu Roma vuoi un Sud non più schiavo invece di un ponte che non serve a niente fai e crea le mitiche “ Autostrade del mare “ queste si che creerebbero posti di lavoro.
Se tu Roma ci ritieni facenti parte della Repubblica Italiana, non fare vendere ad esempio ( uno per tutti) gli agrumi di altri paesi e fai sotterrare i nostri!
Se tu Roma ami davvero come dici questa terra che ti ha dato il nome “ Italia”  non permettere più le cattedrali nei deserti, non permettere alle tue puttane di intrallazzare con le nostre puttane.
Ma io lo so, tutto si svenerà, tu farai alla fine questo maledetto ponte e tutto passerà sopra noi veloce e nessuno si fermerà più a parlare con noi! Per il potere che importa se noi saremo presi per l’ennesima volta per il culo, che t’importa della nostra dignità e del nostro orgoglio, che t’importa della nostra libertà quando non ci è stata mai restituita?
A te Roma che cosa te ne frega se ancora oggi per raggiungere la Calabria ci s’impiega sempre le solite 13/15 ore di viaggio.
Che t’importa che per raggiungerla in aereo si dovrà avere a che fare solo con Alitalia (e mi riferisco alla rotta per Reggio Calabria).
Cosa manca a noi calabresi? Abbiamo tutto!
Che t’importa della nostra storia e della nostra cultura.
Che t’importa dei nostri ragazzi che non trovano lavoro da sempre se restano al tuo servizio e sono invece lasciati lì o con l’alternativa di andare ad elemosinare lavoro in altri stati?
Roma perché non la finisci di rompere le balle? Noi non siamo una tua colonia!

lunedì 26 settembre 2016



Perché non provare a essere diversamente felici?



Di vincenzo calafiore
27Settembre2016 Udine



Da piccolo chiedevo a mio padre cosa dovevo fare e come si diventava  giornalista o scrittore giornalista, mi diceva che dovevo incaponirmi in questo mio desiderio, fallo diventare un chiodo fisso e poi fare indigestione di libri e giornali.
Poi la mia vita prese un’altra svolta, però quel desiderio c’era ancora e forte e negli anni che furono portai avanti per tantissimi anni le indigestioni di libri e di giornali e ora eccomi qui con quel mestieraccio tra le mani!
Ho imparato anche l’ironia con cui tratteggiare gli aspetti della vita, i tromboni, gli specialisti del nulla, i campioni dello scopone scientifico con le scarpe sul tavolo come in “ Quarto potere” ma anche gli arrampicatori delle vette demenziali cui può giungere la stupidità e l’ingordigia, tanto abbondanti.
Ero timido e mi defilavo in un angolo lasciando spazio agli altri, poi un giorno guardandomi allo specchio mi dissi: “ Schiodati da lì, ti verranno le emorroidi, siediti a quella Olivetti M40 e butta giù un pezzo”.
Non mi sono più fermato.
Guadagnavo poco o niente a quei tempi e mi guadagnavo qualche lira in più scrivendo per altri.
Comprai ogni cosa a rate e fra queste il mio primo computer.
Già in quel tempo immaginavo di poter viaggiare in ogni luogo pur rimanendo inchiodato sulla sedia alla mia Olivetti M40 correva l’anno 1998 e sulla mia astronave a remi cominciai a sorvolare paesaggi arabescati dalla brina nelle albe invernali friulane, ma raggiungevo anche la mia terra e il mio mare dello Stretto; riempivo quaderni di emozioni che poi divennero racconti o poesie.
A Trieste incontro e faccio amicizia con Raimondo Martinez, Corrispondente ….. al quale feci leggere alcuni pezzi miei, mi disse: il modo migliore per scrivere semplice era farsi capire dai bambini e tu ti fai capire dai bambini…. Sei uno scrittore o giornalista o giornalista scrittore… fai la tua strada.
Ora dopo tantissimi anni luce, ripensando a quei periodi mi rendo conto di essere ancora oggi felice, diversamente felice!
La consapevolezza della parola sembra emergere dall’acqua del mio mare di dentro, poi si cala nel vortice d’un tempo arcaico, metafisico, per aggettarsi in una spirale infaticabile che assorbe ogni cosa, tracimando il livore dell’età mia su anima e labbra.
Così si offre la voce del mare di dentro, quel suo frangersi su pietre e venti, l’agonizzare lento tra le sabbie, per tornare poi in superficie più in là, più avanti nei giorni, più avanti del cuore.
Scrivo di notte e mi pare proiettarmi, attraverso la scandaglio del verso nelle vesti serali di cieli calactini, padrone di un registro interiore di parole ancora da formarsi.
Si spandono in armonia lieve nell’asserare denso del giorno con l’intensa malinconia del vissuto; spesso inesorabilmente si dipana il soffio del mondo nella sua mortale miseria, in quell’acredine emersa dall’inconfutabile legge della fine.
Sono gli stessi ricordi che disperdendosi  in lattescenti filamenti lunari, formano una sorta di universo anche lirico, ove si confondono forti sentimenti e amore, entroverso, ricolmo di nostalgia gentile, di rammemorazione.
E’ il mondo che ho, con il suo bagaglio di bellezza, di lacerata contemplazione di quella donna che amo più di me stesso che vive in me in immagini quiete, semplici, profonde, e, nello stesso momento premonitrice di un tempo che non conosce sosta.
Forse il mio “ essere “ qui è una maniera diversa di essere felice, o semplicemente diversamente felice; sono per me solitudini senza tempo che hanno occhi di fanciullo e tra queste solitudini affiorano segmenti nascosti, intimi e preziosi di donna odorosa d’amore, di desiderio di un mescolarsi alle radici intime di un sentire profondo nei miei deliri notturni lontano sulla mia astronave a remi dall’orrore di un mondo, nel sacro avvolgersi dell’animo.
Io e la mia solitudine estranea che racconta di magie e lunghe remate per sfuggire alla morte nonostante il mio “ ti amo “, nonostante la mia funambolesca fuga da un’esistenza grigia se non provassi ogni giorno a essere diversamente felice!





Giovinezza

di vincenzo calafiore
26 Settembre2016 Udine


C’era più che un sogno in quella scatola di metallo, scolorita dall’uso, un oggetto che viene dal passato, ponte ideale con esso; l’apro forzando il coperchio con le unghia e davanti agli occhi si presenta interamente  la mia giovinezza, foto e portachiavi, c’è perfino il mio coltellino di color rosso che usavo quando andavo per mare, bigliettini che riportano nomi di compagni, chissà dove sono andati a finire e come vivono, se stanno bene.
L’annuso e mi par di sentire il profumo di quegli anni, prendo nelle mani quegli oggetti e mi si stringe il cuore, che nostalgia!
Il mare era poco distante da casa, ci andavo ogni giorno e a volte, anzi il più delle volte ci rimanevo fino al tramonto su quella spiaggia. Ma questi sono ricordi che ancora conservano tutta la loro fragranza di zagara, è vita che è andata via lasciando di se nostalgiche rimembranze.
Ora che sono cresciuto e divenuto adulto … forse! O sono ancora un bambino adulto o sono un adulto ancora bambino poco cambia perché in me è ancora forte la voce del “ fanciullino” è ancora grande il desiderio di vivere con pathos ogni istante del mio tempo, facendo ogni cosa con passione con amore.
Già .......  l’Amore!
Lo penso da sempre di scrivere una semplice pagina per dire grazie alla donna che amo, lo desidero davvero, solo che non so come iniziare, eppure scrivo da tanto …

“ di te piace tutto e i miei occhi o il mio cuore ti vedono e ti sentono ancora bella anche se tu mi dici che ti vedi come un fiore che sta pian piano appassendo, ma per me Amore tu sei la più bella, la più dolce, sei quella ““donna” che ha saputo entrare nella mia vita in punta di piedi.
Schiva e riservata, umile e dolce, serena o rabbuiata, forte, mamma e sposa …  questa sei tu amore mio.
La cosa che più mi piace e l’ho sempre fatto, è stata quella di chiamarti oltre che con il tuo nome anche  con nomignoli diversi, nomignoli buffi che ti fanno ancora sorridere, come “ Paciulla” in realtà sono degli accenti nella mia quotidianità, nel mio smisurato amore.
Assieme abbiamo attraversato mari in burrasca, assieme quando eri triste e delusa, amareggiata dalle tante controversie che la vita non ti ha risparmiato.
Assieme oggi con il mio tempo addosso che mi ha cambiato.
A volte mi vedo come un vecchio arnese arrugginito,
come un mago senza la bacchetta magica,
come un mare senza una spiaggia se solo ti allontani.
Io ti amo! Ti amo da sempre e questo amore me lo sento dentro ancora oggi col mio grigiore in testa, ti amo!
Questo te lo dico sempre ogni giorno ogni momento che i nostri occhi si incrociano, magari ti sarai stancata sentirtelo dire …. Ma è più forte di me dirtelo e se non lo faccio ci sto male.
Sai, ho ancora in me l’amore del primo giorno
Ho quella felicità della prima volta che ci siamo detti “ ti amo “ !
Ho quel ti amo lungo come un respiro come una vita. “
Quasi quasi ti rifaccio la corte per riconquistarti, per dichiararti quanto ancora t’amo oggi quasi alla soglia del mio essere incanalato alla fine dei miei giorni, dal mio essere uomo in procinto di ripartire con te chissà per quale viaggio, chissà per quale universo con la nostra astronave a remi quella che da sempre ci porta via! Ti amo dolcezza mia.