mercoledì 14 settembre 2016



L’incontro




di vincenzo calafiore
14 Settembre 2016 Udine


 “ Perché rivisitare Socrate e metterci alla sua sequela, perché tornare a farci suoi discepoli? Socrate è ancora oggi l’uomo dei paradossi, egli ispirò tutte le grandi filosofie della Grecia, non scrisse una sola parola e oggi scriviamo tante parole e nulla rimane!
Il suo messaggio è infinitamente più  attuale di quello che può essere proposto da qualsiasi filosofo contemporaneo. Il grande ateniese è uno di quegli uomini che non solo ha rinnovato profondamente una civiltà, quella cui apparteneva, ma la civiltà umana in quanto tale. Egli ha rivelato all'uomo la sua vita interiore: ha scoperto le categorie dell'universalmente umano nella logica e nella morale, ci ha insegnato, con l'esempio della sua stessa vita, che “nostro primo dovere è farci clienti della verità”e che “senza l'esame del pro e del contro la vita non è degna di essere vissuta”.
La forza di Socrate non sta solo nella sua dottrina ma soprattutto nel messaggio della sua vita: egli ci comunica come pochissimi altri nella storia,  un'intuizione profonda di valori che non passano, un'emozione che illumina e cambia la vita.  Un'emozione che potrà anche essere resa, almeno in parte, esplicita nella sua struttura concettuale, ma che in realtà precede l'idea e la genera, invece di seguirla. Conduce i suoi interlocutori, oggi come 2400 anni fa, a mettersi in chiaro con se stessi, a prendere possesso di sé, a conoscersi come soggetti di vita spirituale, come anime. “


Veniva così facile dire – noi – perché non c’è plurale nel mondo di noi educati dalla solitudine e dal silenzio a diventare per sempre la misura di noi stessi. Alla “ CAVA “  col  - noi – invece, bisognava farci i conti, perché tutti parlavano di sé al plurale con la ronzante fluidità di uno sciame d’api intorno all’alveare.
Ma era soprattutto da noi io e Carlo, giovani e già stanchi di vita sentire usare il – noi – con quell’accezione densa, piena di respiri comuni.
Non ci siamo dati mai per vinti, mentre parlando e guardandoci negli occhi come si fa tra veri amici, seduti ai bordi di una delle grandi aiuole sotto l’ombra di un grande albero.
Ricordo Carlo, aveva distratto gli occhi da ciò per cui si stava discutendo e lo aveva fissato su un altro per un istante, come se anche la risposta richiedesse una buona dose di riflessione.
Con il cuore che gli batteva forte dalla paura di sbagliare, e perdere ciò che più amava tanto.
<< Non siamo mica gente che si arrende noi  meridionali >> gli dissi !
Carlo a quel punto mi sorrise e poi lo sguardo s’era rasserenato, mentre con le braccia appoggiate sulle ginocchia con le mani spezzettava rametti d’albero.
Io da sempre ho scritto come un carbonaro, anche con quelle stellette sul petto, in mezzo a tanta ignoranza e crudeltà, sopraffazioni e umiliazioni, privazioni, obblighi, riempivo quaderni di parole con precisa osservazione delle cose minime e importanti, quelle che danno il succo di una percezione e la loro capacità d’imprimersi nella memoria. Raccogliendo immagini esatte disegnate tramite le parole, con cura quasi paterna all’attinenza dei fatti, del dettaglio…. Una poetica parabola sulla crescita di ispirata leggerezza del vivere in quell’inferno.
Quel “presente plurale “ usato per tutte le azioni che si coniugano collettivamente anche se a compierle eravamo io o lui indistintamente. Così uno che non aveva più forza di continuare quella vitaccia arrivava a dire: noi non siamo capaci. Uno che falliva diceva: noi non siamo stati capaci.
Ma non era così, non è stato così perché io e Carlo siamo stati capaci di rispondere, di fare il contrario di tutto pur di conservare integre cose come la dignità e l’orgoglio, pagando per questo un grosso prezzo! Convinti che ogni danno del singolo era un danno collettivo e ogni riscatto personale era la rivincita di una collettività chiamata “ colleghi “ o semplicemente
“ truppa” Il Presente Plurale è il tempo verbale dell’alibi e della responsabilità, dipende tutto da come lo coniughi, perché non indica mai un’azione, ma un modo tridimensionale di stare
dritti sulla terra.
Insieme.
Adesso come ieri, sempre.
Qui.
Come noi!
Col tempo abbiamo scoperto che il presente plurale è soprattutto uno spazio. Uno spazio doppio, che è fatto di un dentro e di un fuori, di un noi e di un loro, uno spazio che genera insieme appartenenza ed esclusione, disegnando un confine indiscutibile eppure eternamente mobile.
Le cose che si lasciano o si perdono, si ritrovano sempre! Noi lo sapevamo allora quando le nostre strade si separarono e lo sappiamo ancora oggi che ci siamo come fiumi incontrati con le nostre foci col mare grande della vita!
Di questo periodo la Senigallia settembrina si è svuotata dalla massa che l’ha invasa coi suoi costumi colorati da giugno ad Agosto, le spiagge sono tornate ai gabbiani e la città si presenta come una sposa uscita dalla doccia, linda e profumata; coi suoi ritmi, con le sue abitudini, con le viuzze e corsi che intersecandosi la dipingono e la mutano sempre come un quadro.
Nelle mie giornate friulane scandite dal solito e dal comune venire spesso, magari leggendo o rivisitando i luoghi della memoria ho pensato …. << e Carlo, che fa Carlo ora? >>
Con lui ho condiviso l’amore per il teatro, per la cultura, quasi una vita.
E’ il mio fraterno amico e finalmente l’ho potuto nuovamente incontrare ad Ancona dove vive con la sua compagna, suo punto di riferimento.
Dovrei parlare adesso di Carlo anche per presentarvelo, diciamo….
Per me che sono legato a lui da “ vecchia o maturata “ amicizia non è cosa facile dato che tanto mi rassomiglia, e come me fatto di molte forme; da Artista che è appena pensi di aver capito qualcosa di lui, in realtà non hai capito nulla dato che continuamente come me scardina il pensiero col suo continuo improvvisarsi e come me è un continuo cambio scena, lascia e riprende, smonta e ricostruisce, ride ed è triste.
Insomma Carlo altro non è che un funambolo  sospeso sugli opposti della vita! Ma è anche il suo palcoscenico, il suo applauso ma anche l’abbandono e il ritorno.
Siamo così! Quasi non servirebbe parlare lo facciamo con gli occhi, e se parliamo finisce sempre in risata.
Ritrovarci è stato come compiere un salto in dietro nel tempo quando avevamo i capelli neri e un fazzoletto giallo legato al collo, dentro una tuta grigio-verde….
Poi ti accorgi che si è fatto tardi ed è giunto il momento di tornare a casa, a Udine, capisco un nuovo significato dell’incontro, della fratellanza, del distacco: il dolore del lasciare!

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