sabato 13 novembre 2021


 

Naufrago in un mare di solitudine

 

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Novembre 2021 Udine

 

“ .. io sono mare, mi muovo sempre,

scrivo e all’alba divento marea…. ! “

                                     Vincenzo Calafiore

 

Succede di notte in una notte di stelle ardenti, il vento cambia e porta odori di montagna ma secchi e roventi, gli stessi degli altopiani asiatici.

Succede di notte, osservando il cielo e vedere tre stelle precipitare, e queste, lo so, sono destinate: una  per chi scrive, una per chi legge, e la terza per chi ha capito … ed è

già un miracolo!

Scrivere a queste ore di notte è una discesa negli abissali stadi del linguaggio dell’anima, dove:  vedere, sentire, capire, hanno significato e un tempo proprio per confluire in un unico fascio semantico.

Così le pagine si riempiono e si presentano  nella sprezzatura di una stenografia diaristica, posso  assistere al prodigio della continua geminazione delle immagini, a un ultimo convito dell’analogia, prima che il nero velluto della notte mi inghiotta.

La mia notte primordiale è la fusione tra il mio mondo da naufrago e quello che c’è oltre quel manto nero che a guardarlo è un ignoto che mette paura, ma è  come dire la terra di mezzo fra le due lingue della mia scrittura.

Succede di notte, nel mare aperto di una scrivania di troppa umana presenza, di avere un brivido lungo tutta la schiena, arriva una domanda, la mente piena di parole, si svuota:

In che tempo vuoi vivere?

Vorrei  continuare a vivere da naufrago come fino ad ora, su una zattera priva di timone, in un mare di parole che abbiano un senso; vorrei vivere in un participio imperativo di una futura dignità e libertà, la forma passiva del < dovente essere > !

Così potrei respirare sogni, libertà.

Così sì che mi piacerebbe continuare a vivere.

Ci trovo in questo mio  linguaggio notturno un “ onore equestre “  da cavaliere. E’ per questo che mi piace il glorioso  –gerundivo –  latino, questo verbo del genio latino, che creò la flessione verbale imperativa come archetipo di tutta la cultura che non solo deve – essere – ma dovrebbe anche esistere.

E’ di questo che parlo tra me e me mentre lenta scorre la stilografica su un rimasuglio di vela bianca, attraverso le distese e i territori da nomade.

Voglio questa notte conoscere le mie ossa, la mia lava che scorrendo incendia e dilata le arterie dando impulso vitale alla mia vita da errabondo sognatore.

Affondare con tutte le fibre del mio essere naufrago latino all’impossibilità di scelta, all’assenza di qualsiasi forma di libertà.

E’ qui che mi ostino a vivere, rifiutando spontaneamente la luminosa assurdità di un sistema orrendo capace di  privare della volontà e della ragione; se io avessi accettato di vivere qui, in questo  -lontano dell’anima - avrei accettato quella meritata e indelebile  uniformità, uguaglianza, l’afonia dei suoni, la pietrosità sanguigna, la solidità della roccia, vorrebbe dire che è stata vana la mi esistenza. Io invece vorrei continuare a vivere e per farlo resterò naufrago a vita su una zattera in un mare di parole e di pensieri, che non mi associano, mi dissociano da questo crogiuolo di ombre e apparente umanità.

Semmai accettassi come qualcosa di meritato, l’ombra degli anni passati, dei sorrisi che sono stati, dei baci mancati, dell’amore che non c’è stato, scoprirei la mia durezza del linguaggio, quando prenderei coscienza della mia età contemporanea, che succederebbe  al mio cuore quando comprenderebbe che l’ho tradito per un pugno vuoto di niente?

E poi che cosa è per me questa inutile e concubina contemporaneità? Una sequenza di puntini che vanno all’infinito senza mai incontrarsi!

Io è per lei che vivo … è per questo che sono naufrago.  Io e lei guarderemo questo mondo rovesciato, mentre l’inverno dentro punge e brilla crudeltà nelle pupille.  Andremo via assieme, mani e piedi fasciati con  panno regale, nel più profondo  – no –  senza paura, fino a sentire scricchiolare la nostra esistenza. Avremo occhi per guardare il mondo che galleggiando si allontana senza dare di se essenze né profumo!

Sai, per te, avrò parole dalle pareti scoscesi, strati di suoni nelle semivocali che ti evocano , forse sta tutto lì l’incanto del verbo – Amare –

Io ti perdo Vita,  mentre l’occhio cerca la forma, l’idea, e si imbatte nel pane ammuffito della natura stanca di una umanità inesistente, in mani incapaci di stringere mentre la vista si scheggia , si spezza quando vede per la prima volta il volto della poesia.

Da dove viene allora questa mia attrazione alla vita? Come spiegarla? Che senso darle?

Ho provato la gioia di pronunciare il suo nome, di amarla, di pronunciare verbi proibiti e sentire suoni misteriosi dell’anima, ormai da tempo ripudiati e forse anche ritenuti vergognosi.

L’acqua bolle nella nera teiera, stranamente e meravigliosamente limpida, un’ombra vi gettò un pizzico di fantasia. E’ quello che mi è successo e succede tutte le notti con un cielo di stelle cadenti.

La penna stilografica scorre lentamente, la carta ha respirato tutta l’aria di quell’inno alla vita che avrei voluto sedurre con una corda di violino, o addolcirla con un flauto traverso, perché si sciolga la neve che ho in me, sulla carta umida di salso la vita viene verso le labbra, ho freddo e sono felicemente naufrago in un mare di solitudine.

 

 

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