lunedì 13 febbraio 2023

 

Vincenzo Calafiore

Il giorno dopo, “ Il Giorno del Ricordo

 

E’ calato nuovamente il silenzio, questa giornata da ricordare è trascorsa con i soliti

documentari storici su questo tratto di storia italiana ancora non chiarita a fondo, i soliti discorsi, deposizione di corone; ma nella sostanza non è cambiato nulla nel panorama delle responsabilità attribuite sempre e per la maggior causa al Ventennio Fascista, ma sarà proprio tutto a carico dei fascisti italiani, e perché non ricordare la collaborazione tra i comunisti jugoslavi e quelli italiani a loro favorevoli?

 

Bisognerebbe chiederlo a quei bambini e donne, uomini brutalmente trucidati di chi è la colpa, che ci indicassero una via per giungere alla verità assoluta, ma anche alle complicità di un partito che ancora oggi non ha fatto una revisione storica, limitandosi solamente a zavorrare l’idea, avvalorandola con  la pericolosità della destra italiana e con il possibile ritorno del fascismo in Italia.

Ma questo è un altro discorso.

 

FOIBA DI BASOVIZZA (TS)

 

 “ Il Giorno del Ricordo “ in memoria dei ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe, dalle milizie della Jugoslavia di Tito e alla fine del secondo conflitto mondiale.

La memoria delle vittime delle foibe e degli Italiani costretti all’esodo dalla Venezia Giulia, dall’Istria, Fiume, Dalmazia è un tema che ancora oggi divide.

Il trattato di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo dal Sud America in Australia, come in Canada e  Stati Uniti.

Pochi riuscirono a sistemarsi e con molta fatica in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del Partito Comunista Italiano che favorevoli alla Jugoslavia, minimizzarono o tennero nascosta volutamente la portata della diaspora.

Emilio Sereni ( PCI ) , che allora ricopriva la importante e determinante carica di Ministro per l’Assistenza post bellica, e sul cui tavolo finivano rapporti e domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia Italiana, anziché farsene carico, minimizzò la portata del problema. Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto, e in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di “ Fratellanza Italo- Slovena e Italo –Croata “ sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano “ propaganda reazionaria”

La “Foiba di Basovizza” è in verità un pozzo minerario, scavato all’inizio del XX secolo per intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua improduttività: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia e successivamente processati e giustiziati a Basovizza. Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l’invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1947, descrive la tremenda via crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco. Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l’orlo dell’abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

Chi erano le vittime della Foiba di Basovizza?

Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perché in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito. Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti. Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante. Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico – indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 500 metri cubi (poi ridotti a 300) – conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila vittime. Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane… e a guerra finita!

basovizza

 

E i carnefici? Individui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive dell’ OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell’invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della “difesa popolare”. Il monumento
Il monumento della foiba di Basovizza è molto semplice: consiste in una lastra in pietra grigia, segnata da una grande croce; sullo zoccolo frontale è riportato un passo della “preghiera dell’infoibato” dettata dall’arcivescovo Antonio Santin. A sinistra è posto un cippo, opera di Tristano Alberti, rappresentante la sezione della cavità con alcune quote delle probabili stratificazioni, al cui centro è appesa una lampada votiva in bronzo collocata dall’Opera mondiale lampade della fraternità. All’interno del recinto, sono stati collocati in tempi successivi altri cippi, il pilo porta-bandiera donati dalle associazioni d’arma e dalle organizzazioni degli esuli giuliano-dalmati e due targhe: una individua il punto dove è custodito un elenco degli scomparsi in seguito alle deportazioni, l’altra ricorda le visite dei presidenti della Repubblica italiana. Nel 1980, in seguito all’intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il pozzo di Basovizza e la foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d’interesse nazionale. Il sito di Basovizza, sistemato dal comune di Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio delle più alte cariche dello stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno cruciale per la dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni più tardi dal successore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 aveva dichiarato il pozzo della miniera “monumento nazionale”. I massacri delle Foibe e l’esodo dalmata-giuliano  sono una pagina di Storia che l’Italia ha voluto dimenticare! Non si riesce a capire  come mai questa tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio come se fosse una vergogna per quasi sessant’anni!

Come si moriva nelle foibe: I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e finanzieri, nonché militari della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare, in loro mancanza si prendevano mogli e figli. Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosa e crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati agli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco sui primi tre o quattro della catena umana, i quali precipitavano nell’abisso.

 

 

 

 

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