giovedì 5 luglio 2018


Meglio una vita, che una vicevita
Di Vincenzo Calafiore
04 Luglio 2018 Udine

Spesso nelle ore notturne, o in quelle maratone davanti a uno schermo a leggere e rileggere quanto è stato scritto, tra un caffè e una sigaretta fumata in balcone che si affaccia non sul mare, come un tempo accadeva, ma sui tetti di anonimi capannoni industriali rifletto sulla mia scelta di aver voluto vivere la mia “vita” e non una “vicevita” imposta da un sistema idiota, crudele il più delle volte; sistema che vuole e fa vivere le apparenze, l’indebitamento,il consumismo d’ogni genere di cosa sentimenti compresi.
Mi rendo conto che non è facile la mia vita che se ne frega delle ore forzate in palestra, o di correre,pedalare,della moda, delle cose di ultima generazione, degli amori consumati come fossero serate in discoteca.
Mi rendo conto che è difficile comprendere la mia filosofia del “morire normalmente” piuttosto che in salute e forma perfetta …. Tanto morire si deve tutti!
La mia scelta quindi di vedere la mia vita e approcciarmi ad essa come a un romanzo da scrivere; quindi aprirsi subito con le atmosfere di una favola ( la mia favola) che urta contro la realtà, si frange in molti riferimenti di magiche visioni, si allunga nei dettagli di un immaginario che regolarmente poi si manifesta.
Allora accade di notte, quando tutto è silenzio e tacciono i motori, che l’immaginazione mia urticante investe tutte le risorse della scrittura, si compone di sospensioni, versatilità dei temi, un insistente gioco di intrecci per costruire un racconto che spazi nei rigorosi rispetti dei ritmi narrativi e degli snodi che portano sempre più lontano da questo sistema idiota, ma anche per catturare anime, come dire loro, a quelli che stanno dall’altra parte … “ guarda che è possibile vivere una vera vita che piuttosto una vicevita… “
La mia immaginazione ha disegnato e progettata la “ Pegasus”  la mia Astronave a remi con la quale andare e venire da qualsiasi parte di ogni mio – altrove – il luogo in cui le varie storie si incrociano, nascono nella spiritualità che le rende essenziali, vitali proprio nella loro nudità, nel loro accadere naturalmente.
E allora qualcosa di straordinario, quasi di metafisico, aleggia negli – altrove- delle albe attese in riva al mare, nei tramonti, ma anche sui puri nomi delle persone amate, sulle verità scarne, su quei posti lontani e segreti visitati da uomini in continuo passaggio: un transito febbrile di storie, racconti, destini, in una dimensione perenne dove tutto è presenza, è amore, è vita. Che crescono senza rumore dentro il cicaleccio degli storni, per andare e tornare consoli vittoriosi e in rotta a sbaragliare santi perseguitati e vaticinanti, duchi e proscritti, schiavi e dominatori e una vicevita in svogliato cammino verso un umiliante sospeso con i suoi padroni.
La vita che si evidenzia con particolari che consegnano a una fotografia in bianco e nero, racconto di terre remote filtrati da un’affabulazione lenta, sommessa, - sogni- che sono i motori di una “ Pegasus” lontana sempre più in spazi siderali.
La forza negli slanci di vita ove l’amore è quello che è, la vita è quella che è sempre in un ignoto a cui andare con fiducia, con speranza, per sconfiggere la morte del quotidiano, la morte che macina e polverizza ogni risorsa e aspetti di umana vita.
Quindi la scelta di vita per combattere un sistema tutto apparente, tutto ipocrita, tutto moine e versetti in pubblicità di un inesistente simile a un demonio dell’inferno peggiore.
Ma c’è la voce tonante della cultura, della fantasia, dell’immaginazione, come fosse la voce di Zeus e non ha soste il viavai che io da narratore tengo stretti e ben custoditi nei lunghi giorni di vita, come se mi crepasse il cuore a lasciarli ripartire in un altro viaggio.
E intanto anche questa notte ho atteso la nascita di una figlia per caricarmela sulle spalle e portarla a vedere il mondo lontano dal mondo.

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