lunedì 28 agosto 2017

Ad uno a uno sotto un cielo disattento

Di Vincenzo Calafiore
29 Agosto 2017 Udine

( Cento pagine in una)

“ … se amarti significa ricordare
io voglio ricordare, a te voglio tornare
ogni sera come gabbiano solitario
che si lascia un mare in tempesta alle spalle… “
                             Vincenzo Calafiore


La cosa peggiore è rimpiangere la felicità e capita all’improvviso, in quel vuoto di tempo che quando si manifesta è un mare grosso che ingoia ogni cosa.
Così mi sono ritrovato annegato in un bicchiere di neve, quando aprendo la porta trovai l’alito dell’assenza è stato come una bava di vento leggero quasi incapace di sollevare un foglio di carta o rubare polvere da un mobile.
Mancava qualcosa e non capivo cosa, c’erano tracce di trascorsa felicità in quelle foto appese a muri quasi cadenti; si sente l’assenza con tutto il suo vuoto.
In settembre da queste parti il sole una volta superato il promontorio dei quattro venti, si precipita velocemente dietro la linea dell’orizzonte, rassomiglia a un uomo che desidera solo di gettarsi tra le braccia della donna amata al crepuscolo.
Come le vele si piegano e cadono afflosciate, vuote di vento attorno all’albero di una barca che rientra al porto, al sicuro; così immagino il tempo mio che riducendosi accorcia le distanze, pochi margini, pochi spazi, poca vita nella memoria che la ricorda diversa.
Ed è un continuo cercarsi di memoria e ricordo, in mezzo, in quella terra di nessuno, io che assisto senza nulla poter fare agli sfilacciati e sfuggevoli lampi di antiche battaglie!
Così come un cercatore sa fare spreco il tempo mio alla ricerca di una felicità che esisterà solo nella mia fugace immaginazione; è una dannazione a cui non si può sfuggire, se amarti significa ricordare io voglio ricordare, a te voglio tornare ogni sera come gabbiano solitario che si lascia alle spalle un mare in tempesta, torno a te tra le tue braccia che un tempo erano e significavano amore, certezza, futuro, vita, vecchiezza, fine.
Amarti fino alla fine dei giorni miei!
Era un mio sogno prezioso, custodito e affrancato da una certezza altrettanto preziosa, poi come in un teatro repentinamente nella brevità impercettibile lo scenario cambia e mi ritrovo in un inferno a cui volendo sfuggire nuoto in un mare che a volte voleva annegarmi.
Manca qualcosa e so cos’è, ma lo negherò anche davanti a Dio! In questa casa di muri tristemente ammuffiti che scolorandosi han lasciato le voci sospese nell’aria di un mattino, di un giorno più da dimenticare che da ricordare.
Come spiegare al cuore che qualcosa è andata perduta per sempre?
Come dare luce a occhi che piano diventano neve?
Così ritorno come gabbiano in porto al tramontar di stelle e mi ritrovo negli stessi scenari, di un tempo che ti videro felice correre in braccio a me…
Vivo e muoio in questo inganno come attore dietro le quinte cercando di ricordare le battute o i lunghi monologhi, solo davanti a uno specchio perduto in un soliloquio che racconta di te, di te che un vento più forte come foglio di carta nei suoi vortici ti ha portata via!



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