martedì 27 marzo 2018


Come uno spiaggiatore




Di Vincenzo Calafiore
28 Marzo 2018 Udine

“ per amare ci vuole coraggio poiché è di tempeste che si tratta, se c’è il coraggio di annegare allora c’è il coraggio di amare. Perché l’amore è vita e morte, non è oblio. E’ come un’arena a terra sempre qualcuno o qualcosa rimane. “

A guardarla meglio è una notte di pochi riflessi, è un buio che rassicura poco, porta più a spiare da dietro i vetri quel mondo se pur vicino tanto profondo tanto distante da me che illuso ancora aspetto vedere qualcosa di luminoso, fortemente luminoso sbucare da quel buio e farmi rapire.
Una volta, tanto tempo fa, mi piaceva lungo le spiagge raccogliere pezzi di vetro colorati che il mare facendoli scivolare ha levigato, arrotondato gli spigoli, limate le fratture … a guardarli ho pensato a quanto si è spezzato e andato perduto di quella che riluccicava nelle mie mani e non era vita.
Come uno spiaggiatore ho camminato lungo le rive della mia vita in cerca di quei pezzi di vetro per ricomporre ciò che è andato spezzato, una vita senza riuscirci è sempre mancato un pezzo, il più importante per ricomporre il tutto o per lo meno di dare una forma ai tanti pezzettini, agli incastri sbiancati alla forma deforme un po’ di grazia o almeno una parvenza di certezza che potrei ritrovare almeno una parte di quanto è pure andato perduto.
Almeno in questa notte bastarda e di apparenze ingannevoli ci fosse lei.
E comunque, quei vetri che riluccicano sono ancora qui come reliquie di una reliquia più grande, avrei potuto restituirli al mare, alla loro vita; ma è una vita che scorre nel sangue come terra lontana di tanti mari e di carrube, come un ricordo che richiama a se altri che come il mare mi sormontano e giocano coi riflessi gli occhi di chi si sofferma appena nella mia vita per poi andare come fossi una stazione solitaria dentro un ovale di primavere stordite dai canti di cicale.
Non posso farne a meno e tutto di notte si ricompone con quei frammentati ricordi di cose finite che riprendendo vita come se fossero loro stessi mare in quell’andare e venire a volte coi loro ritmi di burrasca annunciata o di calma assoluta come fosse assenza di vento.
Non posso che essere e vivere come uno spiaggiatore sulle sue rive in cerca di quel pezzo di vetro importante capace di dare una forma più o meno parvente a una vita che ormai è andata perduta per sempre.
Lei è lì sempre come un’immagine frantumata e ricomposta, scomposta e ricomposta come il ricordo sopraggiunto vuole che sia; e quando va via mi lascia come una spiaggia arida e di alghe morte, conchiglie vuote che si animano dando lo stesso suono solo tra le braccia di un mare che riprendendosele le restituirà ad altre spiagge, ad altre età.
Come questa che gioca d’azzardo e d’inganno!
Ma questa sera misera e meschina che ha in se le note di una notte di pulviscolo pare una cometa che passando rilascia lo squallore di un avanspettacolo di periferia.
E lei è sempre lì a portata di mano, come una fotografia dentro un portafoglio,
come un’immagine sbiadita su un letto vuoto d’amore!
Tutto è così breve, lampante, di emozioni di breve durata, di felicità ricomposte e scomposte che svanendo rilasciano che solitudini.
Sorridimi almeno tu!
Quante volte lo urlai a una platea distratta … sorridimi almeno tu! E’ diventato un verbo, memoria, racconto! Un racconto iniziato e scritto di notte tra solitudini che riluccicano di vita propria come fossero pagine di un diario già scritto da una mano ferma di bella grafia che a solo guardarla obbliga a rimanere tra quelle parole, più di tutto nello spazio tra una e l’altra in una sequenza mortale, spirituale fino alla fine, fino all’ultima pagina.



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