martedì 12 aprile 2016







Donato Nettis

Di Vincenzo Calafiore
11 Aprile 2016 Trieste




Tolmezzo
10 Aprile 2016


Si è conclusa, presso la “Home Gallery Espressioni d’Arte “ in Tolmezzo, la personale di Donato Nettis, e non solo, ma anche un viaggio per me, per i visitatori, per Claudio DeMuro che l’ha curata con maestria fino nei dettagli.
E’ stato un viaggio nella quotidianità dei paesaggi di terra e d’aria, mutevoli; ma anche di topografie che giocano d’azzardo, luoghi della memoria e dell’anima in cui le immaginazioni, un volto, diventando reali << già sono inghiottiti da un secolo >>; visioni interpretate che passano come una cometa e altre, quelle amate, come un soffio di sogno si impigliano nelle
<< caverne e trappole >> di un interiore sentire, della memoria.
I visitatori, e io stesso, Donato Nettis e Claudio DeMuro, la Signora Teresa, abbiamo percorso un tragitto carico di emozioni e di soste dinanzi a una tela, cercando in questo crepuscolare odierno, anche se in forme diverse sensazioni, e immaginazioni sbiadite da un correre troppo veloce del tempo, di conservare malinconicamente le immagini più care, sempre uguali e insieme sempre altre a comporre la storia degli affetti, lo spazio temporale e vero della vita, tra le cose tangibili e grumose e il vorticare alto nell’aria che attende la fine di ogni incontro.
E’ stato un percorso geometrico in cui l’ordine di tratti, personaggi, tempi e voci e del dissonante attrito, del mondo si compone attraverso la lucentezza dei colori, il deragliamento, le crepe, gli interstizi, il salto degli intrecci e le sbandate di quell’umano presente, di quell’umano sentire. Formicolio di ricordi e di reali odierni, e antichi, che si discostano da un invadente distratto odierno e finiscono per rintanarsi nei limi della memoria.
Si svuota la << scena >> e svapora fievolmente, rimane memoria di una << trasparenza>> appena distante più in là di un nuovo orizzonte possibile, in cui l’artista è presente in ogni guscio di quel suo universo che si serra nei segni, nei colori, figure, scintille, pori, delle tele.
Orizzonte, lì dove impaziente brulica la vita che s’immagina nel componimento che vuole, Nettis lo negherebbe perché è già lontano con le sue ferite, le pene, i giorni avviliti in cui si è perso ricordando i bianchi accecanti di paesaggi rarefatti della sua terra.
La memoria enumera i ricordi, ne patisce l’urto, l’insensata invadenza di un chiassoso odierno, di un invisibile informe che si invera e irretisce con l’ingombrante suo peso.
Con accanita ricerca annota e raccoglie, imbriglia nella sua memoria ricordi di campagne assolate sfinite dal frinire di cicale; annotare il microcosmo e l’immenso, custoditi gelosamente in un angolo di esistenza fatto di certezze, membra, fisicità e per contro il pensiero, le sospensioni incantate, l’angoscia distratta tipica degli artisti.
Quella di Nettis è una lirica che si racconta bruciando narrativi su tele, colpi di pennelli e spatolate che moltiplicano gli intrecci, le luci lineari di ogni quadro. L’avventura creativa è spesso il soprassalto di un colore, si addensa in un gomitolo di colori, nella sferica pienezza, nell’incongruo fluire delle macchie che sembra parlare d’altro.
Nettis li richiama, li frantuma, e dispone qualche scheggia più viva in una finestra o in un porticato; a decifrare l’incanto è il ritmo dell’insieme, l’aereo territorio, la sghemba percussione di un ricordo.
Ormai ogni dettaglio è dentro la sua scia di presenze evocate da un colore, da un’ossessione memorica.
Il giornaliero è spesso una molecola di qualcosa che sfugge: una materia crivellata dai colori!
Ora, lo sfilacciato sipario si è abbassato sulla scena con ancora nell’aria volti ridenti e inquieti, distese silenziose, e masserie bianche di luci.
Forse bisognerebbe ripeterla per riconquistare sogno e emozione, forse!


giovedì 7 aprile 2016



La vita senza sogni di una società di maschere


Di Vincenzo Calafiore
8 aprile 2016- Udine


A volte ti alzi coi capelli arruffati dalla notte più o meno agitata, barba lunga con le palpebre appena socchiuse cerchi di capire dove ti trovi e passando le mani tra i capelli pensi a cosa il nuovo giorno appena fuori dalle serrande ti ha riservato.
In mutande giri per casa e ti prepari il primo caffè, la prima sigaretta e guardi  un fuori dalle finestre di luce accecante.
Il paese dorme, le sue colline, la piazza e il negozio di barbiere.
Operai che attendono un lavoro, le solite volatili promesse e nuvole che corrono sotto un cielo azzurro, così grande da accogliere tutta la gente viva che si prepara a morire.
Un cielo che sta lì in alto, fermo e aspetta e riconosce tutti.
C’è un gran silenzio che copre il paese perché è stato detto tutto…. Pensi che sei un padre venuto da una vita di lavoro e ancora ti getti nella mischia, per i tuoi figli.
 Sai che lì fuori oltre le colline verdi, e del tuo paesaggio dai colori forti, c’è un mondo che ti aspetta, pensi mentre sorseggi il primo caffè a tuo padre che faceva probabilmente le stesse cose come suo padre; ti vengono in mente parole scabre come l’esistenza che stenta come te il suo cammino, una carrellata di visi pronti ad affacciarsi con le pene antiche e la fatica non dei sogni, ma di un sogno dietro l’altro irrealizzati, morti ancora bambini in un teatro indifferente.
La vita, pensi sia una crosta rugosa, incatramata di pessimismo, ma con un sotterraneo di parole bisbigliate, una risonanza di parole dette a metà, forse taciute, forse vicine sempre altrove, limpide e forti lì dove possono trovarle le speranze.
Tutta la luce scivola sopra uomini sanguigni e non manichini prigionieri di un realismo avido di cose e non di incantamento!
Pensi ai tuoi figli, alla tua donna che vorresti lontano dall’imbuto di una società vorace di principi e limiti, un mondo di trappole e di maschere, in cui si muovono da ogni parte uomini assetati di luce come le falene in una infinita notte stellata.
Le vicende personali di ognuno finiscono per diventare memoria!
La vita è una pellicola di sogni in cui scorrono personaggi, uomini venuti da paesi di neve e fantasmi neri che entrano nella mente.
Tutti nello stesso mondo rotondo, bianco e azzurro, allo stesso tempo cupo e desolato, di volti che appaiono e svaniscono nel nulla, mentre i giorni, gli anni passati sono fermi e lontanissimi, senza memoria vani nel vuoto di molte certezze ….  come una nave arrugginita che scompare.
Tu vivi fra notti trapunte di agonie ove passano generazioni di umanità incastonate nel destino, coi tuoi giorni spinti verso un’assurda meta senza senso.
Non v’è spazio per gli odori e i profumi dei campi, per i cieli sgargianti, per il vento in cerca di una gola in cui infilarsi e seppellirsi.
Ma per fortuna una potenzialità spirituale cala e rende tutto essenziale e memorabile, è un qualcosa di straordinario, divino che aleggia sulle verità scarne in quel posto lontano e segreto che è l’anima, di uomini in continuo movimento come il mare; un transito leggero di storie, destini, che crescono senza rumore, per andare e tornare in svogliato cammino verso un umiliante sospeso che un Dio sempre perdona.
Rimane l’affabulazione lenta, sommessa, sogni, che sono la forza dello slancio vitale e Dio che non ha soste nel continuo viavai di volti che a lui vanno dopo quei pochi giorni vissuti con affanni e crepacuore.
Sogni lasciati ripartire!
E intanto nasce una nuova alba che tu caricherai sulle spalle come una bambina e la porterai a vedere il mondo!

martedì 5 aprile 2016



Tra cuore e anima


Di Vincenzo Cala Fiore
5 aprile 2016-Udine

“ …. Da, Settembre.. “

Se dovessi capire che tu, oggi,  domani, stanotte, non dovessi esserci io non avrei alcun significato, di esistere, di amarti, ti Amo.
Sono parole d’amore, che ti sussurro ogni istante della mia vita che si compone e ricompone secondo i ritmi del cuore.
Io ti amo con la mia vita trasparente, sfiorata dalla malinconia, dalla cupezza di certe visioni a cui vado nel mio notturno delirio.
Il mio vivere fatto più di misure minime e attonite meraviglie, di certi risvegli del passato, suscitano in me solo che desiderio di poter continuare ad amarti.

Si è vero, ti chiamo con tutti i nomignoli più strani, ti cerco  perché è di te che ho bisogno per vincere ossessioni e disorientamenti che  si alternano nell’amabilità delle mie parole che vorrebbero solo dire, ti amo, nonostante i miei inverni, la mia stessa storia, la durezza della vita controllata da antica sapienza.
A volte faccio fatica a riconoscermi in quelle ceneri rimaste nella faticosa e arida realtà dalla quale cerco di allontanarti, perché voglio che tu rimanga e sia la mia isola, il mio mondo, il mio esistere.
Ma i miei destini, le scelte, si danno battaglia in una guerra annunciata e dichiarata, da una parte, la continua ricerca di te e del miglior tempo per amarti e guardare i tuoi occhi dopo l’amore; l’altro invecchiato nella bigia quotidianità a volte inconcludente. Ha inizio così un duello che mette a nudo fragilità e confessioni come un verso scomparso e sempre presente: amarti.

Sponde nebbiose di malata luce e perlacee aurore di risvegli di un amore prensile e sereno avvolgono i dialoghi che fanno vibrare un ventaglio di emozioni personali in cui a volte si annidano intime tristezze.
Se tu non dovessi esserci io morire in una tinta d’occaso senza poter raccontare con malinconica  effervescenza la nostra vita, del mio e di te!
Noi siamo, << la razza pura dei sogni >>, la fiaba che abbiamo iniziato a scrivere tanti anni fa senza confini, senza frontiere, in cui i sentimenti non  scompaiono ne cambiano.
Se amarti vuole dire << sono qui, ci sono…. >> io voglio amarti fino alla fine dei miei giorni.
E’ un amore irripetibile nel continuo franare del mondo che continua la sua assurda corsa.
C’è il mio disagio di vivere lontano da te, chiuso e a volte arreso, senza colpe, in un oscuro assurdo inganno del destino in cui scivolano silenziosi i giochi, i mesi senza fine, il bianco e nero dei ricordi, gli interni sonnolenti, gli entusiasmi, che ogni volta riemergono in confessioni ora brevi, fulminee, ora lente e pausate, in quel mio continuo: ti amo!




mercoledì 30 marzo 2016





Perdermi negli occhi tuoi
Di Vincenzo Calafiore
30 marzo2016-Udine


A un certo momento, quando meno te l’aspetti, ti addormenti davanti allo schermo di un pc con la testa appoggiata sul tavolo, come quando eri piccolo e ti addormentavi sul banco scassato in un’aula! Ecco quel momento temuto è arrivato anche per me, io che spesso ho navigato più di notte che di giorno.
Ero, o sono stato, come un soldato in avanscoperta in territorio nemico, che di notte usciva allo scoperto per raccogliere informazioni e individuare obiettivi possibili da trasmettere a qualcuno che in un altro scenario li attendeva.
E’ un forte segnale, del mio essere vecchio.
Ho in mente da molto tempo un pensiero che mi costringe a non dimenticare, e cioè, di non scrivere più nulla lettere a parte a qualche amico e dedicarmi a quel che più ancora amo, ascoltare il grande Giuseppe Verdi.
Vorrei citare Fernando Pessoa: ma cosa stavo pensando prima di perdermi a guardare?
Questa frase sembra scritta per me e descrive bene il mio stato d’animo ricorrente: perdermi a guardare, inseguire visioni fuori dalla realtà, perdermi negli occhi di una donna, della donna che amo.
Una condizione la mia che per me soltanto si traduce in una partecipe ed emozionata insistenza del mio essere ormai un vecchio poco saggio, guerriero a metà, uomo a metà.
Sono finite le antiche battaglie notturne, al loro posto ahimè piccole schermaglie di breve durata che mi lasciano sfinito.
Sono rimasti, il pensiero, l’immaginazione, l’estensione dello sguardo che non è solo percezione, ma proiezione della mia sensibilità, del retroterra culturale, del discernimento critico, della curiosità.
L’immaginazione allora diventa uno strumento fotografico, in cui si condensa la magia di impressionare la pellicola di un incontro unico ed irrepetibile tra ciò che sta dietro l’obiettivo e ciò che vi si pone davanti, tra un sentire interiore ed una sollecitazione esterna: la mia dormiente sessualità.
L’andropausa, la menopausa, sono la fine biologica della sessualità che ci mutano uomini e donne in fiori che di notte si chiudono!
Di notte il dramma.
Il mio urlo nel silenzio ricordando quel che ero e quel che sono ora, ricordando quella sollecitazione che nel corso della vita interamente dedicata è venuta via via sempre meno nella teatralità quotidiana; le stranianti vicissitudini a cui la vita di quella che è l’amore invisibile e straniero mi ha sottoposto.
Il mio andare in realtà concrete nel mio immaginario animate dal mio tempo interiore ai confini dei luoghi della memoria.
Immaginare di poter amare una donna in questa mia condizione è un film di tante fotografie in bianco e nero, è un perdersi a guardare …  è un viaggio soprattutto nell’identità del desiderio carnale nascosto dell’approccio sessuale, un’emozione inesauribile.
Un viaggio affascinante che si può fare ancora con l’aiuto di certe perline blù e l’apporto delle visioni di un uomo che ancora riesce a sorprendersi tra le tracce di un passato così vivo ed eloquente ed un presente problematico ed inquietante.
In immagini che non saranno mai databili ma che mi proiettano in una dimensione trasfigurata e sublime, fuori dal tempo: gli occhi della donna che amo.! Nel nostro  speciale essere innamorati e amanti distratti che si perdono negli occhi, nella tenerezza di un abbraccio o di un ti amo ripetuto con certezza, con dignità, fuori dai luoghi comuni della sessualità cercata e bramata, spinta ai confini di un dettaglio. E non ci sarà bisogno di alcun regalo importante, di una cena, basta forse solo un sorriso che possa dire ancora alla mia donna “ ascolta, sono fra un’infinità di donne che sanno fingere, e capaci di donarsi, ma io amo solo te! “
 Ancora non mi do pace, sono così felice di averti trovata, non me ne capacito, è come se una parte del mio passato avesse preso vita e con lui tutti i sentimenti per cui ho lottato, per raggiungerti, per averti, per tenerti per sempre dentro i miei occhi: Ti Amo!