lunedì 20 marzo 2023


 


Vincenzo Calafiore

 

Corriamo senza sapere verso cosa

 

 

E’ come se noi fossimo per il tempo che abbiamo sul palcoscenico di un grande teatro, ognuno al proprio posto scenico assegnato da invisibile regista.

Viviamo inconsciamente attorno a delle immagini, a cui ne seguono delle altre .. ed è come se si formasse un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni.

E’ una vita delimitata nella sua sconfinata ampiezza, ricca di emozioni e passioni, amore, tutto quello che si vuole, ma è una vita centellinata nella misura di un passo.

Il “ Saggio “ Regista per non farci impazzire ed essere allo stesso tempo centrifugati da quell’immane palcoscenico ci ha dato la possibilità di scoprire e vivere ne

“ il moto della lentezza” dandoci così la possibilità di vivere quelle proiezioni.

Ogni giorno dall’inizio alla fine, viviamo ignari un lento e inesorabile iter chiamato anche impegno, che a sua volta ci permette di godere di beni materiali, è un surrogato d’una esistenza che permette di –dimenticare – che corriamo senza sapere verso cosa, tra speranza e disperazione.

Così, lo studio e la mia scrittura sono quell’ancora che salva dalla deriva, è o cerca l’equilibrio, l’equivalente dell’immagine visiva, in uno sviluppo tendenzialmente coerente, tendenzialmente perché in realtà è una molteplicità di possibili che si connette tra sensazioni e pensiero, perché la somma di informazioni, di esperienze, di valori solo potenzialmente si identifica in un mondo dato in blocco, senza un prima e un poi.

La scena o lo scenario è sempre quello: “ Il paesaggio della memoria “ che finisce con l’apparire distante, alternativo alle visioni e alle sensazioni del presente in scena quotidiana.

Ed è nell’abitare questa distanza che sarà possibile cogliere lo spessore della mobilità delle forme che si accompagna al diverso percorso: la vita che si è persa, la vita che non è stata vissuta!

E’ nel paesaggio-memoria che scandendo il tempo e l’accaduto con tutta l’irrevocabilità del giudizio che si viene fissati inesorabilmente ciascuno alla propria storia! Un paesaggio che non è così semplice, come appare ad un primo sguardo.

Una forza estranea e indistinta, seduta da qualche parte, provvede a riordinare i ricordi dando loro significato e freschezza, così pure alla nostra vita come fosse del giorno prima.

Ma è solo un’illusione poiché in realtà non è cambiato nulla.

Occorre solo rassegnarsi a salire strade impervie… gli arabi lo chiamano “ pianura proibita”

Quel territorio della scrittura dove lo stile pianeggiante nasce dopo un lungo sforzo e testimonia di difficili prove cui siamo sottoposti nella quotidianità di ogni giorno della nostra vita.

Forse potrei utilizzare l’epigrafe che Stendhal pose  ad un capitolo di un suo romanzo:

la scrittura è come uno specchio portato lungo una strada … la strada come metafora della vita.

Lo specchio, iconostasi tra soggetto e oggetto, tra segno e significato, come metafora della mente.

E allora cambiare la scenografia, le posizioni, significa cambiare il modo in cui la vedono e la comprendono coloro che vivono in lei e sfidano gli assunti culturali dei termini nei quali essi erano soliti vederla, comprenderla, nei quali era consuetudine viverci.

Un nuovo stile di vita è un cambiamento del cuore, è qualcosa di più di una ricercata idea, proprio perché la vita si imbeve di ricordi, tutto si riveste di ricordi, di sguardi, di pensieri, del respiro degli uomini.

Anche lì dove gli angeli non osano mettere piede: il nostro grande teatro!

Afferma Epicuro: «Vivono male coloro che incominciano sempre a vivere» (male vivunt qui semper vivere incipiunt). Condannati, infatti, a rifare di continuo la trama della loro esistenza, la loro vita manca di qualsiasi coerenza e completezza. Con la nostra incostanza noi ricominciamo sempre da capo a vivere la nostra vita, ora in una maniera, ora in un’altra: la riduciamo a briciole e a brandelli. Ed in tal modo la rendiamo ancora più breve.


Vincent Calafiore


We run without knowing what



It is as if we were for the time we have on the stage of a large theater, each one in his own scenic place assigned by an invisible director.

We unconsciously live around images, which are followed by others .. and it is as if a field of analogies, symmetries, contrasts were formed.

It is a life delimited in its boundless breadth, full of emotions and passions, love, whatever you want, but it is a life sipped to the extent of a step.

In order not to drive us crazy and at the same time be centrifuged by that huge stage, the "wise" director gave us the opportunity to discover and live in

"the motion of slowness" thus giving us the opportunity to experience those projections.

Every day from start to finish, we live unaware of a slow and inexorable process also called commitment, which in turn allows us to enjoy material goods, is a substitute for an existence that allows us to - forget - that we run without knowing towards what between hope and despair.

Thus, the study and my writing are that anchor that saves us from drifting, it is or seeks balance, the equivalent of the visual image, in a tendentially coherent development, tendentially because in reality it is a multiplicity of possibles that connects between sensations and thought, because the sum of information, experiences, values is only potentially identified in a world given en bloc, without a before and after.

The scene or scenario is always the same: "The landscape of memory" which ends up appearing distant, an alternative to the visions and sensations of the present in the daily scene.

And it is in inhabiting this distance that it will be possible to grasp the thickness of the mobility of the forms that accompanies the different path: the life that has been lost, the life that has not been lived!

It is in the landscape-memory that by marking time and what happened with all the irrevocability of the judgment that each one is inexorably fixed to his own story! A landscape that is not as simple as it appears at first glance.

A foreign and indistinct force, sitting somewhere, rearranges the memories giving them meaning and freshness, as well as our life as if it were the day before.

But it is only an illusion since in reality nothing has changed.

You just have to resign yourself to climbing rough roads... the Arabs call it the "forbidden plain"

That territory of writing where the flat style is born after a long effort and bears witness to the difficult tests we are subjected to in the everyday life of our lives.

Perhaps I could use the epigraph that Stendhal placed in a chapter of one of his novels:

writing is like a mirror carried along a road … the road as a metaphor for life.

The mirror, iconostasis between subject and object, between sign and meaning, as a metaphor of the mind.

And then changing the scenography, the positions, means changing the way in which those who live in it see and understand it and challenge the cultural assumptions of the terms in which they used to see it, understand it, in which it was customary to live there.

A new lifestyle is a change of heart, it is something more than a sought-after idea, precisely because life is imbued with memories, everything is covered with memories, looks, thoughts, the breath of men.

Even where angels dare not set foot: our great theatre!

Epicurus affirms: "Those who always begin to live live badly" (male vivunt qui semper vivere incipiunt). In fact, condemned to continually redo the fabric of their existence, their life lacks any coherence and completeness. With our inconstancy we always start living our life all over again, now in one way, now in another: we reduce it to crumbs and shreds. And in doing so we make it even shorter.

Vincent Calafiore


On court sans savoir quoi



C'est comme si nous étions pour le temps que nous avons sur la scène d'un grand théâtre, chacun à sa place scénique assignée par un metteur en scène invisible.

Nous vivons inconsciemment autour d'images, qui se succèdent.. et c'est comme si un champ d'analogies, de symétries, de contrastes se formait.

C'est une vie délimitée dans son ampleur sans bornes, pleine d'émotions et de passions, d'amour, de tout ce que l'on veut, mais c'est une vie sirotée à hauteur d'un pas.

Pour ne pas nous rendre fous et en même temps être centrifugés par cette immense scène, le metteur en scène "sage" nous a donné l'occasion de découvrir et de vivre dans

"le mouvement de la lenteur" nous donnant ainsi l'occasion d'expérimenter ces projections.

Chaque jour, du début à la fin, nous vivons dans l'ignorance d'un processus lent et inexorable appelé aussi engagement, qui à son tour nous permet de jouir de biens matériels, se substitue à une existence qui nous permet - d'oublier - que nous courons sans savoir vers quoi entre espoir et désespoir.

Ainsi, l'étude et mon écriture sont cette ancre qui nous sauve de la dérive, elle est ou cherche l'équilibre, l'équivalent de l'image visuelle, dans un développement tendanciellement cohérent, tendanciellement parce qu'en réalité c'est une multiplicité de possibles qui relie entre sensations et pensée, car la somme des informations, des expériences, des valeurs n'est identifiée que potentiellement dans un monde donné en bloc, sans avant ni après.

La scène ou le scénario est toujours le même : « Le paysage de la mémoire » qui finit par apparaître lointain, une alternative aux visions et sensations du présent dans la scène quotidienne.

Et c'est en habitant cette distance qu'il sera possible de saisir l'épaisseur de la mobilité des formes qui accompagne les différents parcours : la vie qui a été perdue, la vie qui n'a pas été vécue !

C'est dans le paysage-mémoire qu'en marquant le temps et ce qui s'est passé avec toute l'irrévocabilité du jugement que chacun se fixe inexorablement sur sa propre histoire ! Un paysage qui n'est pas aussi simple qu'il y paraît à première vue.

Une force étrangère et indistincte, assise quelque part, réorganise les souvenirs en leur donnant sens et fraîcheur, ainsi que notre vie comme si c'était la veille.

Mais ce n'est qu'une illusion puisqu'en réalité rien n'a changé.

Il suffit de se résigner à gravir des routes cahoteuses... les Arabes l'appellent la "plaine interdite"

Ce territoire d'écriture où le style plat naît après un long effort et témoigne des épreuves difficiles que nous subissons au quotidien de nos vies.

Peut-être pourrais-je utiliser l'épigraphe que Stendhal a placée sur un chapitre d'un de ses romans :

l'écriture est comme un miroir porté le long d'une route… la route comme métaphore de la vie.

Le miroir, iconostase entre sujet et objet, entre signe et sens, comme métaphore de l'esprit.

Et puis changer la scénographie, les positions, c'est changer la manière dont ceux qui l'habitent la voient et la comprennent et remettent en question les présupposés culturels des termes dans lesquels ils avaient l'habitude de la voir, de la comprendre, dans lesquels il était d'usage de vivre là.

Un nouveau style de vie, c'est un revirement, c'est quelque chose de plus qu'une idée recherchée, justement parce que la vie est empreinte de souvenirs, tout est recouvert de souvenirs, de regards, de pensées, du souffle des hommes.

Même là où les anges n'osent pas mettre les pieds : notre grand théâtre !

Epicure affirme : « Ceux qui commencent toujours à vivre vivent mal » (male vivunt qui semper vivere incipiunt). En effet, condamnés à refaire sans cesse le tissu de leur existence, leur vie manque de cohérence et de complétude. Avec notre inconstance nous recommençons toujours à vivre notre vie, tantôt d'une manière, tantôt d'une autre : nous la réduisons en miettes et en lambeaux. Et ce faisant, nous le rendons encore plus court.


Vicente Calafiore


Corremos sin saber que



Es como si estuviéramos durante el tiempo que disponemos sobre el escenario de un gran teatro, cada uno en su lugar escénico asignado por un director invisible.

Inconscientemente vivimos en torno a unas imágenes, a las que siguen otras.. y es como si se formara un campo de analogías, de simetrías, de contrastes.

Es una vida delimitada en su amplitud sin límites, llena de emociones y pasiones, de amor, de lo que quieras, pero es una vida sorbida a medida de un paso.

Para no volvernos locos y al mismo tiempo centrifugarnos por ese enorme escenario, el "sabio" director nos dio la oportunidad de descubrir y vivir en

"el movimiento de la lentitud" dándonos así la oportunidad de experimentar esas proyecciones.

Todos los días de principio a fin, vivimos ajenos a un proceso lento e inexorable también llamado compromiso, que a su vez nos permite disfrutar de los bienes materiales, es un sustituto de una existencia que nos permite - olvidar - que corremos sin saber hacia qué. entre la esperanza y la desesperación.

Así, el estudio y mi escritura son ese ancla que nos salva de la deriva, es o busca el equilibrio, el equivalente de la imagen visual, en un desarrollo tendencialmente coherente, tendencialmente porque en realidad es una multiplicidad de posibles que conecta entre sensaciones y pensamiento, porque la suma de informaciones, experiencias, valores sólo se identifica potencialmente en un mundo dado en bloque, sin un antes y un después.

La escena o escenario es siempre el mismo: "El paisaje de la memoria" que acaba apareciendo lejano, una alternativa a las visiones y sensaciones del presente en el escenario cotidiano.

Y es en habitar esta distancia que se podrá captar el espesor de la movilidad de las formas que acompañan el camino diferente: ¡la vida que se ha perdido, la vida que no se ha vivido!

¡Es en el paisaje-memoria que marcando el tiempo y lo sucedido con toda la irrevocabilidad del juicio que cada uno se fija inexorablemente a su propia historia! Un paisaje que no es tan simple como parece a primera vista.

Una fuerza extraña e indistinta, sentada en algún lugar, reordena los recuerdos dándoles sentido y frescura, así como nuestra vida como si fuera el día anterior.

Pero es solo una ilusión ya que en realidad nada ha cambiado.

Solo hay que resignarse a escalar caminos accidentados... los árabes lo llaman la "llanura prohibida"

Ese territorio de la escritura donde el estilo plano nace tras un largo esfuerzo y da testimonio de las duras pruebas a las que somos sometidos en el día a día de nuestras vidas.

Quizá podría usar el epígrafe que Stendhal colocó en un capítulo de una de sus novelas:

la escritura es como un espejo llevado por un camino… el camino como metáfora de la vida.

El espejo, iconostasio entre sujeto y objeto, entre signo y significado, como metáfora de la mente.

Y entonces cambiar la escenografía, las posiciones, significa cambiar la forma en que quienes la habitan la ven y la entienden y cuestionan los supuestos culturales de los términos en que la veían, la entendían, en la que se acostumbraba vivir. allá.

Un nuevo estilo de vida es un cambio de corazón, es algo más que una idea buscada, precisamente porque la vida está impregnada de recuerdos, todo está cubierto de recuerdos, miradas, pensamientos, el aliento de los hombres.

Incluso donde los ángeles no se atreven a pisar: ¡nuestro gran teatro!

Epicuro afirma: "Aquellos que siempre comienzan a vivir viven mal" (male vivunt qui semper vivere incipiunt). De hecho, condenados a rehacer continuamente el tejido de su existencia, su vida carece de coherencia y plenitud. Con nuestra inconstancia siempre comenzamos a vivir nuestra vida de nuevo, ahora de una manera, ahora de otra: la reducimos a migajas y jirones. Y al hacerlo, lo hacemos aún más corto.

 

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