mercoledì 27 maggio 2015



Oltre il muro
Di Vincenzo Calafiore

«Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio» !

Non si esce dalle prigioni erette dalla paura e l’orgoglio, che trascinano negli abissi della pesantezza; sono muri invalicabili che opprimono con il loro pesante fardello.
Per evadere da queste prigioni che ognuno si costruisce attorno, forse bisognerebbe affidarsi alla  - leggerezza – che non significa superficialità, semmai è oblio, temerarietà, coraggio di tuffarsi a capo fitto in nuove esperienze, per non sprofondare sempre più nella consuetudine, nell’usualità.
Ci vuole coraggio, un grande coraggio di compiere la scelta di rimanere soli per potersi ritrovare e compiere il volo per non morire dentro.
Friedrich Nietzsche ….. il fanciullo, metamorfosi dello spirito che diventa cammello e poi da cammello leone da leone fanciullo. Il cammello dunque come l’asino nel mondo orientale è simbolo di coloro che seguendo la morale cristiana e dello schiavo, interiorizzano sensi di colpa facendosi carico di immensi pesi senza alcuna ribellione.
Il leone non si fa sottomettere dal “ tu devi” “ io voglio” è quel tipo d’uomo che non sa dire si alla vita; così sarà l’uomo qualunque secondo Nietzsche l’anello di congiunzione tra lo schiavo e l’oltre uomo, mentre il fanciullo è innocenza, oblio, quella forza di ricominciare sempre di nuovo lo stesso gioco di sempre. E’ l’oltre uomo ad andare oltre il bene e il male, che vive senza i freni di una falsa ipocrita etica, delle religioni, della politica, del logos.
In verità la vita è difficile da sopportare e questo ci rende tutti indistintamente dei somari destinati a essere caricati di pesi che non ci appartengono, siamo di fronte alla vita dei boccioli di rosa tremanti se investiti da una semplice goccia di rugiada; noi in realtà amiamo la vita, non perché siamo abituati a vivere, ma perché siamo abituati ad amare.
Dire di si alla vita significa anche il sapersi liberare da quelle persone pesanti e onnipresenti, dalle negatività di queste, liberarsi dall’orgoglio, dai sensi di colpa dalle rassegnazioni per tornare a sorridere e a sentirsi leggeri come nuvole.
Ma prima che tutto questo si compii, prima ancora di amare la vita, l’uomo dovrà amare se stesso.
Leggera è la vita stessa. Essa ci appare nella sua intrattenibile fugacità tra le pagine de L’insostenibile leggerezza dell’essere di M. Kundera. «Il mito dell’eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla.
In contrasto con questa intrattenibile evanescenza dell’esistenza umana vi è la continua necessità dell’uomo di attribuire a ogni cosa un suo significato. La leggerezza dell’essere si risolve così in un insostenibile paradosso: che significato può avere la vita se essa non è che «uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro»? Immersi in questa esistenza priva di senso, si è inevitabilmente combattuti da due pulsioni opposte: il voler rimanere pesantemente attaccati a terra per paura di perdersi, necessità di controllo sulla propria vita, e l’essere attratti da tutto ciò che è leggero, volontà di liberarsi dal proprio fardello.
Un tempo lessi Italo Calvino, - Lezioni americane – mi era piaciuto moltissimo, mi ricordo che uno dei valori che più mi è rimasto addosso sia la – leggerezza – leggerezza dello scrivere è anche leggerezza del pensiero. Così Ovidio, Lucrezio, Dickinson, Shakespeare, Montale, Leopardi, Kafka ….. un filo conduttore che s’intreccia sullo stesso tema della leggerezza.«C’è il filo che collega la Luna, Leopardi, Newton, la gravitazione e la levitazione … C’è il filo di Lucrezio, l’atomismo, la filosofia dell’amore di Cavalcanti, la magia rinascimentale, Cyrano… Poi c’è il filo della scrittura come metafora pulviscolare del mondo» Un altro filo è certamente quello della letteratura come antidoto alla pesantezza del vivere, volontà di sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa che pietrifica il mondo intero.







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