mercoledì 8 giugno 2016



Fattore Coscienza

Di Vincenzo Calafiore 
08 giugno 201-Udine



Il “ conoscere se stesso “ socratico, è un richiamo all’uomo di rientrare nella propria interiorità e quindi a conoscersi, percorrere i confini dell’anima alla ricerca di un criterio che ci possa permettere di distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto.
Nell’Apologia platonica, Socrate afferma che la sua missione presso gli ateniesi è stata quella di spingerli alla ricerca interiore della verità, perché ciascuno trovasse in se stesso il senso del bene e la saggezza. E’ questa la ragione del suo interrogare, del suo non lasciare mai in pace la gente, del far vergognare tutti di se stessi, perché questi strumenti rappresentano la via per raggiungere la virtù, l’areté.
L’anima è quindi il bene più grande, l’assoluto.
In molti punti Socrate ribadisce con forza  che quel che vale nella vita non è la felicità, il benessere e neppure la salute del corpo o il corpo stesso, questo o quel  risultato materiale, compresa la ricchezza, il potere, gli onori; non è neppure la vita stessa, che la polis ci chiede di essere pronti a sacrificare in guerra per il bene della comunità. Ciò che conta è l’anima! Con Socrate ha inizio quel processo di valorizzazione dell’interiorità, che diventerà uno dei tratti fondamentali del pensiero occidentale. Egli considera la psyché come il campo decisivo nel quale esercitare la ricerca filosofica e la virtù umana. Né è prova l’atteggiamento che Socrate tiene di fronte alla propria condanna a morte. Nel dialogo platonico intitolato Critone alcuni ateniesi tentano di corrompere Socrate proponendogli la fuga per salvarsi, ma lui reagisce rifiutando con estrema dignità, perché fuggire significherebbe tradire le leggi della città e contemporaneamente la propria coscienza. Che cosa resta di un uomo se tradisce la propria coscienza e le leggi? Bisognerebbe chiederlo a coloro che dotati di una buona parlantina scelgono come mestiere di fare politica che significa all’atto pratico sentirsi chiamare – onorevole o senatore, deputato – vestire bene, non doversi spaccare la schiena, non conoscere il dolore delle mani, la puzza del sudore, essere sempre lindo e profumato, guadagnare bene e a vita con poca fatica, avere le mani in pasto a ogni cosa e in fine procacciarsi tutti gli agi possibili ed immaginabili; sempre a discapito di chi in te che abilmente illude crede e ti proclama. Ma tu “politico non sei un uomo, sei un contrabbandiere, un farabutto, un approfittatore, un parassita “! Questo pensiero è quello che balena nella mente di ognuno di quelli che dalla politica se ne stanno distanti ragionando con la propria testa e vedendo le cose con i propri occhi e non con il colore di partito o ragionando e condividendo i tuoi voltafaccia con la tessera di partito! Purtroppo a mancare in noi “popolo” e in loro “ politici “ è il fattore di coscienza, ma esiste ancora la coscienza? La morte, del resto, agli occhi di Socrate non è un male; è un fatto naturale, come la vita, di cui è soltanto il termine. Nell’Apologia il vecchio filosofo racconta che in passato, ogni qual volta si fosse trovato in condizioni di difficoltà e di incertezza , aveva sempre potuto contare su una voce interiore , la voce di un “demone” che parlava dentro di lui e lo ammoniva quando stava per commettere un errore, quando stava per dire qualcosa di sbagliato o per fare una scelta che lo portava verso il male piuttosto che verso il bene.

Questa voce, che molti interpreti tendono a leggere come la voce della coscienza, non gli ha mai  suggerito cosa dire, fare o scegliere: l’ha solo fermato con dei divieti. Ebbene, conclude Socrate , la mattina della sua difesa la voce del demone non si è mai fatta sentire: eppure rischiava di essere condannato a morte. Se la morte fosse un male, dunque, il demone l’avrebbe avvertito. Per questo motivo Socrate beve la cicuta serenamente, quando le leggi della città glielo impongono, non un attimo prima; non cerca la morte, l’accetta.
Del resto, sostiene nell’Apologia, nessuno sa chi abbia una sorte migliore, se i giudici che continuano a vivere o lui che, condannato, si avvia verso la morte.
La vita ambita da Socrate, quella che per lui rappresenta il massimo dei beni, è vivere facendo filosofia, cercando la saggezza nel dialogo con i propri concittadini, ragionando ogni giorno sulla virtù.
Il problema del libero arbitrio è, secondo Hume, «La più controversa questione della metafisica e della scienza». Non si tratta tuttavia di un problema solo, ma di una molteplicità di questioni, come ad esempio: la definizione stessa di libero arbitrio o di libertà, il rapporto tra libertà e responsabilità, la compatibilità o meno del determinismo con la libertà umana, oppure la validità della visione opposta, l’indeterminismo. Al di là di queste controverse questioni, principalmente logico-concettuali, sulle quali da oltre due millenni i filosofi dibattono, vi sono oggi metodi empirici sempre più precisi per indagare concretamente il libero arbitrio. Quest’ultimo non è però totalmente valutabile o misurabile empiricamente mediante rilevazioni oggettive di dati. L’unico modo certo per sapere se un soggetto sia consapevole o meno di volere compiere una determinata azione, è in ultima analisi rivolgersi a lui direttamente; bisogna scontrarsi con la sua coscienza. Nel settore delle neuroscienze del libero arbitrio l’oggettività dei dati scientifici deve piegarsi e relazionarsi alla soggettività dei resoconti individuali: fattori di coscienza!











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