mercoledì 4 maggio 2016



Memories
Di Vincenzo Calafiore
3 maggio 2016-Udine

“… a un certo momento, inaspettato pure,
ti guardi allo specchio e non ti riconosci.
Allora pensi di trovarti in un brutto sogno
e invece a guardar bene quell’immagine riflessa
ti rendi conto di essere tu! Irriconoscibile, distante,
galleggiante in un mare di illusioni ……

C’era l’equinozio di primavera, il giorno d’equilibrio perfetto tra luce e ombra, il giorno perfetto per mettersi in viaggio e raggiungere lei.
Io venivo fuori da certe situazioni di attesa nel mio quotidiano divenire, nelle quali singole esistenze rimanevano sospese, in attesa di qualcuno, qualcosa, che da qualche parte ne sono certo oltre a cercarmi mi sta aspettando.
C’era “attesa” in quella solitudine sulle spiagge prese dal vento, con il  mare che schiumando si alzava oltrepassando i confini delle stazioni perse nei miei viaggi in cui forse io vivevo una vicevita; c’era silenzio in cui si snodavano vecchi legami a sogni ormai svaniti e tanto desiderio di andare via lasciandomi alle spalle il decadente scenario di un quotidiano piatto e disilluso.
Ora che l’età mia si presenta densa e lattiginosa come una notte priva di stelle io sono una pozza di sale che non può diventare mare; allora cerco riparo nella memoria con la stessa paura di una nave che cerca un porto per non affondare nella tempesta.
Per troppo tempo ero rimasto a guardare scorrere fuori da una finestra immagini che velocemente si mischiarono e si confusero  nella velocità del mio pensiero di raggiungerla.
E’ la mia vita che se ne va!
Lei che sta nelle mie ore lunghe un’eternità e nelle mie eterne attese di un suo sorriso, capace di cancellare l’eterno occaso in cuor mio.
E torna il mio pensiero a quando tenevo la fanciullesca barra dritta sulle rotte in cui ardevano mille fuochi attorno al Mediterraneo, quelli di maggio dalla Sicilia alla Macedonia ai monti del Friuli, e poi in tempo di maggio i roghi di piante resinose sulle barche alla deriva: gli anni.
Poi le fughe tra le pieghe di un tempo, non una luce, niente di niente, per una vita percorsa controvento, è terra nera buona per sogni da farsi in tempi di bonaccia.
Mi salvano le stelle a milioni, viaggio a vista, l’orologiaio dell’universo mi suggerisce la strada per giungere a lei.
Ha un linguaggio misterioso e cattivo il vento che gonfia le vele, sotto la luce malata di un sole settembrino, è la mia età ferma, quasi silenziosa e china sul proprio ascolto, non esistono distanze tra le e me la morte con le sue imprevedibili traiettorie; le così sobria ed essenziale, magicamente gentile ripiega a uno a uno i miei duttili anni sulle mie inquietanti ragioni di vita!
Nella lentezza delle ore uguali cerco pezzetti di verità sommersa da aria effimera, di transito forse, di cose che vanno nel nulla come i riflessi di luna immobile sui pensieri di morte.
Ci fosse tempo, scriverei “ il canto del capitano” e gli smorzati e struggenti colori del mio autunno di fogli danzanti nell’incanto di una vita che spero ritorni con le sue luci a rompere la tela del ragno che si arrampica lungo le pareti del cuore.
Io disperso in una molteplicità di voci e colori cangianti, enigmatici segni in una sospensione in cui giace l’amore.


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