venerdì 15 febbraio 2019


Burrasca


Di Vincenzo Calafiore
17Febbraio2019Udine


“ …. Più ti addentri sulla spiaggia
e più senti la voce del mare e rimani lì in silenzio
coi piedi affondati nei ciottoli di ogni colore.
Guardi la risacca come fa a prendersi quei sassi
e facendoli rotolare li porta via, lì fa ritornare
lì posa lì dov’erano nello stesso luogo e posto diverso.
Capisci così che la vita fa alla stessa maniera, solo
che non sai mai in quell’andare e tornare
cosa ostacolerà la tua folle corsa….. “

                                   Vincenzo Calafiore


Di notte, ancora con una sigaretta in mano, a guardare fuori senza alcun interesse tanto è buio, tanto è il cielo spento; sembra di trovarmi su un palcoscenico di un teatro di periferia, un teatro di avanspettacolo, canzoni e balli, scenette di penosa comicità.
Mi invade un maledetto e immenso taciturno, parole asserragliate in bocca e pensieri ancora da farsi.
Penso a quanto è stato rifatto, ai silenzi in cui molto ho soggiornato, e quelle solitudini plasmate sulla pelle come carta marina di rotte segnate ormai quasi dimenticate.
Dinanzi a quel “ nulla “ mi rendo conto di non essere nessuno come individuo, sono solo una delle anime che a milioni sono passate qui, su questa spiaggia che muta e cangia continuamente e non da mai la possibilità di ritornare allo stesso posto.
Penso alle vite perdute, migranti, pellegrini, illegali, soldati, prostitute, contrabbandieri … allora capisco tutte le leggende del mare, sulle voci, le ombre, i morti che ritornano.
Penso a quanto è andato perduto, a quei fari che si sono spenti, alla mia deriva e non so spiegarmi cosa ci sia a fare su questa spiaggia, ma penso anche alle distanze quando non contavano i passi fatti ma i giorni per colmarle e la deriva diventa sempre più lentezza, attesa, immaginazione, sempre più sogno, sempre più mendicante di se stesso alla ricerca della mia barca: il nesso naturale fra il tempo e lo spazio!
Stranamente la mia “ Pegasus “ all’ormeggio non fluttua in una sospensione ma si è adagiata
su un fianco come in attesa di un bravo cartografo che le dia una nuova rotta; sul tavolo il mio “ isolario “ con tutte le rotte segnate negli spazi già attraversati sempre più con ritorni accidentali lo sfoglio come se non appartenesse a me, alla “ Pegasus” e sfogliandolo vedo le cose non come sono oggettivamente ma come le vede chi naviga: la “ Pegasus” !
Non conta più la mia età, ma quanto sia inconfondibile, capace di sapere “ dove sono “!
Com’è buia la mia alba.
Non una luce, niente di niente per tanta notte in solitaria in una morte apparente e avere il coraggio di svegliarsi, levarsi da un controvento, da una terra nera, ecco perché mi dico con affanno: “ mi salva il cielo… la - Pegasus – “
Vorrei essere da un’altra parte sono come un timoniere che viaggia naso per aria, l’orologiaio dell’universo mi dice la strada fra le costellazioni.
Verso Venus l’unica cosa luminosa sono gli incendi di dentro sento l’odore della vita bruciata.
Ardevano e ardono ancora mille fuochi attorno al suo nome, lei così tanto in me, tanto prigioniera di altre mani che non la fanno volare.
E poi ci sono io come Eubea, l’isola che non c’è !
E poi in questo tempo di novilunio …. I roghi di piante resinose sulle barche… falò naviganti per raggiungerla nel suo sognare e sogni da farsi.
Di notte arde anche l’immaginazione, ti porta ancora più lontano da te stesso, in fondo al pensiero di lei di poterla ancora amare chissà per quanto, verso i roghi divini di Zoroastro, i bivacchi dei nomadi come me negli immensi deserti, tra i monti dell’impossibile, dove finirà la mia corsa.   

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