venerdì 5 giugno 2020


Quanti sogni in un Sì

Di Vincenzo Calafiore
21 Maggio 2020 Udine

Mi capita sovente, svegliandomi dalla momentanea assenza dalla vita, scostando le coltri sterminate della notte, cedendo all’invito del sole, di pensare a quell’amore che si agita e vive in me: apro il palmo della mano e mentalmente vi colloco la persona che più amo; ci guardiamo interrogativamente: ricordo la sua capacità di metamorfosizzarsi in principessa; in una forma acerba, di regalità.
Le si addice.
Pensando alla regalità … esiste la minuscola, acquatica, roca, che si chiude in una mano, ma la guardo con tenerezza e a questa maniera percepisco il senso e la forza dell’amore, dell’amare, le suggerisco di saltare nel mio cuore, mi guarda con sospetto, con cautela.
Il suo corpo sinuoso e dolce allo stesso tempo scivola rapidamente nella sensualità, mi assale il desiderio … mi rendo conto di avere il palmo della mano vuoto, lei chissà dov’è in questo istante, e la depongo in una parte del mio cervello colma di sogni e di immaginazioni.
E’ questa una notte vitrea, di equorei pensieri, mi rendo conto della mia minuscola totalità, vibratile e sincera, sento l’eloquenza della bocca che desidera la sua.
Benevolmente mi affaccio alla vita, oramai la luce ha dipanato la notte e mi rendo conto di quanto sia nel tempo divenuta regina libera o a volte concubina di un Re, una puttana che si adegua per non costringere alla totale prostituzione.
Mi lascio trafiggere da un pensiero, in verità sempre lo stesso, pragmatico e sensuale in questa mia età canuta e virile nella sua stessa sostanza molliccia: forse verrà il giorno che mi farà impazzire!
Non ho dubbi sulla regalità di un seno che appena si scopre, così si scopre l’intero cosmo di desideri che sembravano fossero assopiti, la loro lentezza di sedarsi, ma ormai, nel frattempo sono saltati i tempi di uno scenario a me noto, nel quale mi muovo come un cieco tanto lo conosco tanto amo ormai.
Penso e prendo a vestirmi.
La mia breve apparizione nello scenario della sessualità con tutte le mie vibrazioni, risuonano nella reggia della mia adorata Principessa: tutto ne vibra, per quanto esso … il desiderio mio sia ormai incontrollabile, non ubbidisce più alla mia sedazione.
Si odono le fibrillazioni corali e melodici, talora nobile e soprano, nei limiti del mio stile riservato e silenzioso.
Dunque non mi insulto, né mi disprezzo, giacché la mia sessualità matrigna e fuori controllo, fuori e dentro di me, seduce il tempo; lei così fiera e nobile certamente anche di singolare coraggio, s’appresta ogni dì negli assalti alla mia voluttà, resto sedotto e sconfitto dietro a un pensiero che vuole unirsi col mare suo principe e Re,padrone, padre, regno, sensualità, regalità di un mare che mi sa amare … mare è amare nel suo rovescio, ed è qui che vivo, in questo dritto e rovescio: Mare è Amore, Amore è Mare ….!
Ora in verità sono io un Opossum, australe, consigliere di me medesimo o sicario o mio uccisore… penso e prendo a vestirmi… il mio breve rito si compie sul tavolaccio di vecchio fasciame di nave, affondata nell’ovattata età maschile; tutti i legni vibrano al mio passo indeciso, al mio vocalico canto, per quanto esso sia sommesso, giacché i chiodi mi ubbidiscono, i legni lisciati da impronte di ieri confuse all’oggi sono felici di servirmi, cala il silenzio e s’ode il mio respirare lento il mondo di fuori, coi suoi massacri di civiltà perdute, coi suo genocidi, con le torture nelle prigioni di Kabul, coi confini invisibili, con le grandi operazioni commerciali ai danni dell’intera umanità.
Quanti sogni sono andati perduti in un sì?
Inizia così lieve e cortese la deriva nella bonaccia di un oceano che sempre più somiglia allo sguardo che cerca di carpire la distanza da qui a Orione; è la stessa distanza che corre spasmodicamente e ritmicamente tra occhi e anima, come lucciole le anime si rincorrono, si cercano, si trovano lì in quella placenta primordiale che è il sentir respirare l’amore … l’amore per la vita!
Giacché è difficile conservare la devozione degli anni nei limiti dello stile cortigiano meschino, goffamente e rocamente mi rammentano la mia senilità volgare, in cui rifulge senza impurità, né afflitta da rimpianti e distanze ostili. Essi, gli anni e la mia senilità non comprendono la smorfia a mo di sorriso su labbra assetate di tenerezze, anzi e tuttavia la venerano come fosse uno smagliante sorriso.. ciò giustifica il loro esistere e la mia esistenza, temono la mia dipartenza con un malinconico canto … ne sovviene una certa viltà, un’occhiuta obbiezione nel loro prodigarsi; ma può esistere  una vita che non esiga una aureola di ignobiltà?
Dunque mio malgrado non li insulto, né li disprezzo, giacchè gli anni mi furono propizi, io solo li conosco,a me è dato il condannarli o l’amarli.
Ora che tutta la platea è stata da me commossa col mio dolente monologo posso ritirarmi in un dietro quinte in attesa di un’astuzia provocatoria, come il seno di una donna intravisto da una camicetta… ed è lì che nasce tutto e tutto torna.

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