La cognizione del dolore
Vincenzo Calafiore
30 Ottobre 2025
La Cognizione del dolore.
C'è stato il tempo del “ Liceo Classico “ e si studiava, si studiava davvero, era un educare allo studio, agli approfondimenti, era un indirizzare alla conoscenza della – Grande Bellezza - , ho studiato e quindi avere un approccio con Orazio per esempio, ODI,I,11 o dell'imprevedibile germe della disobbedienza!
Ora in questa mia età c'è l'acquisizione della Cognizione del dolore, vale a dire del prendere atto del grande fallimento sociale, questo che sto attraversando è il tempo della decadenza, non è progresso, è invece un grande regresso, un tornare a un medioevo oscuro, più semplicemente a un'era del cinghiale, la devastazione della cultura e della grande bellezza dell'umanità, della vita, dell'esistenza stessa se si vuole.
Carpe Diem!
Ci sono poeti che sanno parlare la lingua arcana dell’anima, versi che si incontrano inconsapevolmente, in un uggioso giorno di liceo, si traducono malamente e, altrettanto inconsapevolmente, si finisce per mandare a memoria. Ci sono parole che si masticano a lungo, che si incardinano tra la struttura complessa di significanti che è la nostra biografia, aperta sempre ad un potenzialmente infinito numero di significati. È ciò che accadde a me, quando lessi per la prima volta i versi di Quinto Orazio Flacco, quando ancora non sapevo che avrei battuto i sentieri della filosofia, che avrei voluto prendermi cura della Verità.
Spem longam reseces: quale speranza debbo recidere? Quella di essere diverso da come sono? Di non essere stato pensato, infondo, per ricercare, domandare, disobbedire, addentare? Ho in me il desiderio del vero e, ad un tempo, la vigliacca speranza di non aver occhi per guadagnarne il senso? Sono una nervosa, selvaggia contraddizione?
Dum loquimur fugerit invida aetas. ! Perché fugge il tempo, dinanzi alle nostre parole? Perché i suoi legacci non tengono fermo il Logos ?
Carpe diem.
È la morte del tempo che non vede. Avrei potuto ciecamente patire e invece volli squartare le trame di ciò che accadeva dinanzi ai miei occhi. E ancora ricerco ciò che riluce, custodito dietro stringhe di fenomeni e accidenti. Ciò che riluce!
E' la perdita di qualsiasi pensiero filosofico è la perdita di quello sguardo curioso e innocente nei confronti del mondo, un vizio forse altrettanto grave è il sommario giudizio semplicistico che si trae di fronte a situazioni complesse.
Chi avrà studiato filosofia, o letto qualche libro magari non proprio ben pensato, sarà parsa l’idea che in fondo anche per i filosofi il mondo è troppo difficile da interpretare, soluzioni definitive non ce ne sono, la cosiddetta ricerca è sempre aperta, la verità non la conosce nessuno, ecc. Ordinaria amministrazione di scenari post-moderni.
E anche se andando un po’ in profondità e ripercorrendo le strade che poi vengono malamente riassunte in quelle massime spicciole, un certo senso quelle frasi possono anche averlo, è vero che le apparenti conclusioni scomode per i filosofi, cioè quelle aperte e sconclusionate, si rivelano in realtà a vantaggio loro e del loro ego. Ma come? Si pensa sempre che i cosiddetti filosofi vogliano far pensare le persone per poterle portare a conclusioni o a prospettive nuove rispetto al modo di ragionare e di vivere comune. L’intero non-sapere post-moderno funziona in modo simile: non potendoci essere un sapere stabile, un riferimento certo, sembra di aver raggiunto il punto vero di tutto il percorso culturale dall’antichità a oggi. E quindi di aver fatto un passo verso la verità, verso la sincerità della conoscenza, contro a dogmi, campanilismi, saperi obsoleti. Al contrario però, chi si muove in quella direzione troppo facilmente non sta facendo altro che riporre tutto ciò che vorrebbe oltrepassare verità, sapere, riferimenti dentro se stesso anziché nel mondo. Dunque,io valgo perché a valere è la mia opinione. Non sapendo interpretare ciò che ho fuori, riempio me stesso: così pensa l’accentratore di pensiero di oggi, che però dimostra di avere alle spalle un deserto conoscitivo notevole.
Lo sforzo del pensiero deve sempre essere quello di giungere alla massima conclusione possibile, alla spiegazione profonda di ogni parte che sentiamo! E così, giungere a un punto fermo del pensiero, non cedere alle seduzioni facili che ci lasciano sempre galleggiare in opinioni comode per la nostra sopravvivenza, deve poter far riflettere anche alla possibilità di non pensare più, di uscire temporaneamente dal proprio essere. Bisogna imparare a «parlar grande o tacere» diceva Nietzsche. Bisogna imparare a star dritti sulla schiena del rigore, anziché cedere alle seduzioni facili.
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