lunedì 5 ottobre 2015



Essere Eguali

di Vincenzo Calafiore

Quante volte abbiamo sentito la magia emanata da una piccola ma grande parola: uguaglianza! E quante altre volte, molte volte, abbiamo visto tradita la sua essenza?
L’idea di essere “ eguali” già i greci l’avevano probamente derivata dai loro “ diversi” : gli schiavi e i nemici sui campi di battaglia. L’esistenza degli schiavi in quanto uguali fra loro produce l’idea della libertà.
La – democrazia- osserva Aristotele – nasce dall’idea che quanti sono eguali per un certo rispetto siano assolutamente uguali, e in realtà, per il fatto che sono tutti egualmente liberi, pensano di essere assolutamente eguali.
L’eguaglianza greca è dunque figlia della libertà e questa è sorella gemella della schiavitù. Come il campo di battaglia dunque offre a questa idea di eguaglianza, non solo il luogo in cui esprimersi, ma anche la metafora attraverso cui pensarsi e rappresentarsi, così la politica nei templi del potere assoluto.
Il combattimento politico si basa su due momenti fondamentali, ( tanto per capirci ): la compattezza nel reggere l’urto nemico ( l’opposizione), e ancora la compattezza nella corsa all’assalto frontale. In entrambi questi momenti è necessario che i combattenti si comportino in modo esattamente uguale agli altri: la viltà di chi cede e il coraggio di chi sopravanza; entrambi incrinano la forza d’urto comune che consiste nella coesione e dunque fatali per tutti. Al suo interno ( politica) l’uguaglianza significa perfetta intercambiabilità fra i membri e noi in Italia di questi esempi potremmo averne a bizzeffe. Su questo principio si fonda, o si dovrebbe fondare l’alternanza tra governanti e governati, cioè l’accesso alle cariche di potere a turno da parte di tutti gli “eguali”.
Si pongono a questo punto due grossi problemi. Il primo è che, se si deve essere uguali, occorre diventarlo: cioè rendere compiuta quella equalizzante “virtù politica” che ciascuno possiede in potenza, instaurare quella effettiva omogeneità morale e intellettuale che consenta al corpo civico di funzionare, e a quello politico di combattere. Le leggi offrono ai cittadini la falsariga, come diceva  Protagora, su cui allineare la loro condotta, accalappiandoli fin da bambini, mediante la legge, plasmando i migliori, i più forti tra loro, e impastoiandoli e ammansendoli come leoni, li asserviamo dicendo loro che bisogna essere uguali agli altri e che  tale uguaglianza è il bello e il giusto, ma disse anche "L'uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono". L’eguaglianza se non altro come ideologia forte, è capace di produrre forme di rappresentazione e di coesione sociale!
Chi è l’uguale?
L’eguaglianza si può rappresentare quindi solo sullo sfondo del suo contrario, della differenza e della dissimmetria.
Aristotele offrì una articolazione sistematica e precisa. “Uguale” è il cittadino greco, libero, maschio, adulto, dotato di una rendita che gli consente di non dover vivere di lavoro salariato. Intorno a questa eguaglianza si forma la costellazione “naturale” dei diversi. I barbari e gli schiavi, in primo luogo: le due figure, che tendono a sovrapporsi nella pratica sociale, sono da Aristotele accomunate per un loro deficit di logos (cioè, insieme, di ragione e di lingua greca), quindi per mancanza del principio psicologico di autodeterminazione. Poi le donne, che sono sì razionali, ma incapaci di una deliberazione autonoma (anche qui, la teoria riflette una condizione sociale e giuridica); i bambini provvisoriamente irrazionali fino alla maggiore età e alla cooptazione nel club degli “uguali”; infine i lavoratori salariati, che sono come “schiavi pubblici”, e privi del tempo necessario per dedicarsi alle opere degli “uguali”, la politica in primo luogo.
C’è infatti una tendenza dell’eguaglianza giuridica a trasformarsi in eguaglianza di potere e di ricchezza, azzerando i dislivelli sociali originari; e viceversa, un’opposta tendenza dei nobili e dei ricchi a restringere a sé la sfera dell’eguaglianza, escludendone in tutti i sensi i poveri e i plebei. Sono i principi opposti della democrazia radicale e dell’oligarchia: “entrambe sciocchezze” – dice Aristotele, ma sciocchezze pericolose, poiché in esse sta “il principio della rivoluzione”.










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