mercoledì 21 ottobre 2015



Esplorando le parole

Di Vincenzo Calafiore
     20 ottobre 2015



A volte sogno e in quel sogno mi perdo in certe latitudini ai confini di un mondo che cerco sempre di raggiungere, in una stazione sperduta nel tempo.
E’ come dipingere un paesaggio, un paesaggio di parole dai diversi colori, senza accorgermene dipingo il mio volto certe volte a me sconosciuto e altre volte quasi familiare, così accade a chi legge,scrive e racconta di libri.
Di scritto in scritto, molti ancora nei cassetti, altri usciti, pian piano è passata la mia vita, sto passando gli ultimi anni della mia vita a scrivere.
Certe notti di bonaccia con le vele sgonfie di vento, rimango intrappolato in un mare che mi fa paura, con la mente spenta come un faro sopra la crocietta dell’albero maestro, sono buio nel buio con la gola serrata quasi a mancarmi il respiro.
Ascolto l’eco di parole che mi ammaliano e mi commuovono e mi coinvolgono, fino a convincermi di sentire la presenza di un’anima, un respiro lungo, ma è la carezza del buio!
Vado, insomma, da quelle parole fondanti, che hanno fatto ad altri scoprire il piacere di rimanere nel buio ove è possibile sentire il loro sapore di avventura, di sogno; lo stesso sapore che aiuta ad aprirsi alla scoperta del mondo, del mio mondo.
Conosco a memoria tutti gli alfabeti del mio grande amore.
E’ un’apertura sul suo mondo, su come sa e riesce a farmi ancora sognare.
Mi sento così misero, così inutile distante dalle parole, distante dalla lettura, dalla conoscenza!
Leggo libri, come quelli che scrivo al mondo che mi circonda, per leggere il mio amore, per leggere un lettore attento, invisibile e sconosciuto ma sempre attorno dentro e fuori di me.
Una volta pensai che la scrittura fosse un essenza della realtà che potrebbe fare a meno della realtà, che può sostituire ciò che non esiste o esiste, può rappresentare un’assenza, costringere la realtà o l’assenza a presentarsi nella sua inafferrabilità.
Fuggo da qualcosa.
Forse dall’esteriorità, dalla società, dalle false idee, resto in quelle passioni nei miei scritti; è forse meglio scriverle le parole che riescono a trattenere una moralità limpida e chiara che pronunciarle  dinanzi a una realtà fatta di inevitabile contraddizioni e chiaroscuri.
Il disincanto di certe notti, le solitudini, le disillusioni non negano ma filtrano come un setaccio le gelatinose menzogne di un quotidiano meschino e gretto, la retorica sentimentale con la quale il più delle volte si ingannano gli altri, e si inganna se stessi; smascherando il vuoto su cui poggia la realtà, gli inganni con i quali si vorrebbe celarlo senza accorgersi dell’amore che esiste e resiste nonostante il baratro.
Da qui la necessità di donare,
consegnare all’animo altrui le mie parole!
E quindi è da qui da quelle parole che da un mare di silenzio notturno vanno verso gli alfabeti a raccontar d’amore, dai fondali di una lucidità che sa di presa di coscienza; da qui l’ambiguità dell’ambivalenza scrittore-individuo che chiude tutte le albe il libro con una difficile riflessione sul rapporto amore-esistenza; ma c’è un’irresponsabilità poetica che facendo i conti con la realtà riconosce il bisogno dei sogni di illuderci d’essere amati da una vita che cela l’inferno.
Mettono in evidenza il continuo viaggio dell’uomo fra scrittura diurna in cui si batte per i valori e i propri dei e quella notturna in cui si ferma per ascoltare le parole del cuore, quelle suggerite dall’amore che lo allontanano dai demoni: i sosia che abitano in fondo di ogni cuore anche quando sussurrano cose che smentiscono la vita stessa.
Parole vergate in un notturno per cancellare o celare l’addio lento a una sedia e a un tavolo, alle penne e alle matite, ai fogli di carta appallottolati, agli occhi da naufrago, stanchi  di tante visioni di demoni che cercano e distruggono quanto reggono l’amore per le parole che vorrò dirti fino a quando gli occhi reggeranno la distanza del buio.

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