RUE DE MERDE
By Vincenzo Calafiore.
Ci hanno insegnato e
fatte scrivere più volte parole da ricordare e verbi da coniugare nella
perfetta simbiosi di un pensiero nato e da sviluppare; si trattava di quei
fondamentali sui quali poi la nostra vita sarebbe scivolata per affrontare
successivamente il mare grande.
Era una forma ben
precisa, una strada nota anche se nascosta nella sabbia e ombreggiata dai rovi,
così è iniziata così è ancora; adesso continua il viaggio tenendosi sempre
distante dai tanti pezzi di vetro che luccicando hanno indotto con l’inganno a
seguire i loro riluccicare.
Molti hanno
abbandonato quella via celata per seguirlo e non hanno fatto più ritorno.
A distanza di tempo
per la verità non quantificabile mi sono trovato assieme a una moltitudine
eterogenea in mezzo a spazi di tanti orizzonti di cieli puliti e di un azzurro
intenso, abbiamo incontrato e sostato in diverse oasi ove con altra gente
abbiamo diviso il pane e bevuto la stessa acqua, danzato con la stessa musica.
In un deserto appena
iniziato nudi e senza vergogna ci siamo immersi
nell’acqua d’una fonte fra le rocce e guardandoci negli occhi scoprimmo
la nostra stanca età con la sua poesia nelle in mezze strofe.
Rimase il silenzio
privo di significato in bocche afone.
La nostra nudità
d’anima peggiore è un’alba! , conosciuta e fotografata più volte, uguale anche
nelle diverse sue manifestazioni.
Dove sta il senso.
Magari più avanti
incamminandoci in quella direzione potremmo incontrare fortunatamente un
villaggio sperduto ove ancora si parla il linguaggio che la nostra memoria ha
volutamente, forse per suo agio, cancellare; sostituendolo con altri più
accomodanti, più convenevoli.
Dai dorsali della
solitudine, imbrigliati da linee bianche e lattiginose, certe volte si può
guardare il cielo di una memoria che a fatica riesce a far tornare visi e
linguaggi, suoi ormai da tempo.
Tornano in rapida
frequenza a file serrate, le misere e cenciose velleità di un’età superba, maestosa costellazione di errori e omissioni.
Che imbecillità grande
è stata.
Ora è come uscire da
città vinte e altari profanati!
Credevamo tutti
d’essere delle crisalidi e di poter superare i diversi orizzonti; quando siamo
che esseri nati dal caos di una tempesta creatrice come il vento e l’acqua
figli della stessa tempesta. L’acqua è madre, la nostra madre e la stiamo
avvelenando, fonte di tutte le cose è vita, purificazione. Il vento è la
libertà che è andata perduta nei vari passaggi interiori. Siamo nient’altro che
paesaggi in evoluzione, paesaggi di mutati orizzonti sempre più lontani, sempre
più difficili da raggiungere:
non abbiamo mai avuto
le ali!
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