martedì 29 aprile 2014


TANTO ERA MORTALE

 

By Vincenzo Calafiore

 

S’erano vergate tante pagine di parole piene di significato in quel tempo sbandato più per ricordare a noi stessi cosa fossimo nelle nostre mortali realtà.

Parole che avrebbero avuto la loro vita dentro un significato vanificate dall’insospettato desiderio di arrendersi al costante avanzare dell’ignoranza e della voluttuosità.

Il nostro era stato un regresso morale e sociale oltre che evidente anche incisivo, tanto che alla fine resoci conto di quanto basso e oltre il profilo umano eravamo caduti, c’eravamo preposti a subirne i conseguenti richiami e le dolorose azioni di una coscienza attenta e inviolabile.

Dunque, così violati nella nostra intima convinzione che tutto poteva scorrere ed espletarsi naturalmente e delusi dalle nostre stesse appariscenze obbligate, decidemmo successivamente come una sorta  di purificazione dalla decadenza morale e spirituale, di esiliarci in un deserto come fece Gesù.

Troppe tentazioni inutili, troppi i disagi. Tutto tatuato sulla pelle, terra inaridita dal vento dell’indifferenza.

Eppure da qualche parte dovrà pur esserci una “via di fuga” da questo essere inermi, arresi, oltraggiati,sfruttati; mi viene in mente guardando in cielo la costellazione di Orione là sono più convinto che mai avrei assieme a tanti altri la possibilità di ricominciare daccapo.

Ma è un sogno, una chimera, un’illusione adatta allo scopo, cioè di sopravvivere alla maceria causata dai troppi avari ed egoisti che tanto vanno idolatrati nei templi di finto paganesimo.

C’è stato un tempo in cui negli androni di case e palazzi s’udivano risate e canzoni echeggiare per le scale, profumi ed essenze dai balconi; ora solo che silenzio e scale asettiche, sconosciuti sulle rampe.

E’ cambiato qualcosa o siamo cambiati noi, e di che malattia soffriamo?

Siamo finiti murati vivi dai dettami e dal pragmatismo in cui divincolandoci e mescolandoci ogni giorno li abbiamo fatti nostri credendo in essi, trovare quello che è sempre mancato, illusoriamente pure, alla fine sconfitti senza poter ascoltare gli echi di un “ essere” grandi e geniali che han fatto toccare i cieli della beatitudine ascoltandoli nei teatri e nelle piazze sommessi dalla grandezza dei cori. Quando saremo in grado di equipararci a quelle arie scritte per definire la nostra umana coscienza oggi quasi sparita?

Sentiamo più che mai la necessità di raggiungere qualsiasi angolo di curvatura per poter rientrare in quello spazio infinito che un tempo si chiamava umanesimo; cerchiamo con ogni mezzo di tamponare le falle inflitte alle coscienze da questo inutile marasma in cui vermi più grossi producendo più liquame stanno per farci annegare in esso.

Allora fino a quando ci sarà la possibilità di prendere una “ via di fuga” e lasciare questo immane baratro in cui viviamo nella stessa misura dell’iniquo, prendiamola lasciando senza alcun timore la parvenza di vita, l’inutile necessario, il falso per il vero, e riprendiamoci la nostra vita tutta intera, tutta coscienza diventando: Tuareg!

 

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