lunedì 20 marzo 2017




Nascosto dietro l’infinito

Di Vincenzo Cala Fiore
19 Marzo 2017 Udine
( 100 pagine in una, un racconto da farsi)

Non ricordo più le ore interminabili trascorse in mezzo a una pianura brulicante di mosche e api, seduto sopra una terra arida, assetata di acqua, come me assetato di conoscenza, ad aspettare e vedere passare il treno sollevare una grande nuvola polverosa che come un sipario nascondeva la maestosa bellezza degli azzurri chiari e scuri del mare.
Passava due volte al giorno, la prima volta venendo dal nord e si poteva vedere frontalmente la vaporiera che risaliva sbuffando la collina, lasciando di se pennacchi di fumo nero che andavano via via dissolvendosi nell’aria, e il pomeriggio arrivava da sud, si presentava sul mio fianco.
Capivo che stava arrivando dall’aria spinta fuori dalla galleria che piegava l’erba più alta bruciata dal sole.
Poco più in su c’era la grande quercia ove trovavano rifugio i passeri e tordi sui rami più alti, e gli asini invece si sdraiavano sulla terra nell’ombra; li ho sempre invidiati per il loro sonnecchiare indisturbati lontani da ogni cosa, dal treno che passava lentamente sferragliando fortemente, distanti dal tempo dai calendari dagli orologi, liberi in mezzo a una prateria infinita come il mondo.
Spesso al sorgere del sole mi incamminavo lungo lo schienale della collina passando vicino alla fila di fichidindia buoni da mangiare dopo averli lasciati per ore in un catino d’acqua fresca, per raggiungere il mare dopo aver attraversato di corsa la lunga galleria; uscivo dall’altra parte e tutto cambiava.
Il mare sempre spumeggiante non dava tante possibilità di raccogliere ricci attorno agli scogli o di pescare le murene negli anfratti tra gli scogli; ma il più delle volte si saliva io e i miei compagni sullo scoglio più alto per tuffarci e scendere giù seguendo la linea scura dello scoglio e risalire prima che scoppiassero i polmoni.
Quella si che era vita, vita da asino come diceva mia madre.
Un colpo d’aria più forte fa scivolare la tendina sopra il vetro, ed è come se una invisibile mano l’avesse sganciata dalla presa della moletta, nascondendomi all’infinito appena al di là dei vetri a cinque passi di fantasia.
Io e la mia sposa velata, come quegli asini in quell’ombra circoscritta, non vuole lasciarmi in quelle ombre velate di leggera cecità e si scusa proponendo ai miei occhi altre visioni, altri luoghi, tutto in una stanza, l’inferno bianco.
Di notte le distanze sono accorciate dai sogni che con gambe lunghe mi raggiungono facilmente dal sipario mezzo aperto, in quel buio scevro di speranze, s’aprono varchi a lunghe solitudini ove si raggrumano quei sogni mancati…. Chissà come sarà adesso la mia collina, se ancora passa quel treno che non richiama quegli asini.
Sono pensieri suggerite dal cuore come tutte le immaginazioni, quei sogni che come una sottile ragnatela mi trattengono alla vita come una preda del ragno, come un sogno, come verbena a un muro che cade a pezzi.




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