mercoledì 29 novembre 2017

In quel “ Ti Amo “

Di Vincenzo Calafiore
30 Novembre 2017 Udine

( Da “ Blu Oltremare” ) di Vincenzo Calafiore


Quasi certamente quel mio
“ ti amo “ che ogni volta, in ogni occasione, quotidianamente, quando è di te che si tratta naturalmente te lo dico, lo scrivo, e sento in me un qualcosa di bello, è di emozione che si tratta, è di sentire, è di amare un verbo coniugato in ogni istante.
E’ questo l’Amore?
Ma è veramente quel mio amarti a farmelo dire, scrivere, recitare?
Forse Tu non lo senti frusciare quel mio essere dentro un verbo o ti fa paura poiché esso stesso implica un qualcosa di più, aggiunge un oltre a cui andare o a cui guardare o forse è solamente una boa in mezzo a un mare grande che di blu oltremare ingoia o nasconde ai tuoi occhi.
Sai è a una platea avvezza e stanca, disattenta, troppo piena di se che una sera con il cuore nell’estasi dell’ultimo bacio, cominciai piano quasi come fosse un sussurrare a parlare di te; io già sapevo che alla fine l’avrei attanagliata tutta su un’unica poltrona, e continuai salendo piano di tono, fino ad ullarlo quel mio – ti amo -, mi muovevo in uno scenario che conoscevo bene, un quasi surreale, un quasi sconfinato e smarginato rigo di perle, che non c’era e al posto suo solo che una mezza luce nella distanza tra sedia e ombra le uniche cose presenti, non c’era più quella platea disattenta.
E cominciai ad incontrare occhi e mani tese che chiedevano cosa volesse dire ancora oggi ove tutto è telematico quel t’amo scritto con una matita su un foglio di carta che tenevo nelle mani mentre recitavo di te.
Pian piano ordinatamente fila dopo fila la platea si svuotò, si raffreddarono subito i muri, e si inceppò il sipario a mezza via.
C’ero solo io in quel cono di luce gialla come messa di grano, calda come il sole, seduto e intento a decifrare quella parola, quel verbo che imparai a sillabare prima, a pronunciarlo poi con una voce che da sola dava calore al verbo, a urlarlo poi nelle distanze e solitudini in cui più volte rimango impigliato con le ali spezzate.
Le messe di grano mi ricordano quando facciamo l’amore e stringo tra le mani il tuo viso, sento i tuoi capelli e guardo i tuoi occhi nella loro profondità.
Occhi che non sanno mentire, occhi lucidi come se… “ come se “ tu in quel momento avessi voluto piangere e non lo hai fatto; allora si che quel ti amo ha un significato, allora sì che quel ti amo diviene verbo in noi e cresce come marea che travolge e passa il confine del non ritorno, come mare che va a morire là sulla sabbia arsa dal sole, arida e spenta.
Era di questo che recitando parlai per ore a una platea che andando via nell’ultima fila lasciò su ogni sedia una rosa scarlatta per tutte le volte che io ho detto “ t’amo” erano tante rose!


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