sabato 14 giugno 2014




Di Vincenzo Calafiore

Scrivere di questo argomento sicuramente non basterebbero due paginette, cercherò di essere il più conciso possibile per evitarvi “ l’annoiatezza “.



 “ Secondo Aristotele l'amicizia è una virtù indispensabile all'uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici,anche se possedesse tutti gli altri beni. Gli amici sono necessari nella prosperità come nel bisogno, nella giovinezza come nella vecchiaia, nella vita privata come nella vita pubblica. Gli amici sono il più grande dei beni esterni. “


L’AMICIZIA

In questo odierno così sconsideratamente veloce e lucido quanto scritto da Aristotole non avrebbe più senso né significato d’esistere; il condizionale è d’obbligo poiché c’è molta gente che per fortuna ancora crede in questo grande sentimento.
L'uomo è portato per natura a vivere con gli altri e a crearsi amici. All'uomo felice non servono amici utili o piacevoli, perchè ha già i beni che da questi potrebbero venire, ha invece bisogno di amici buoni, cui donarsi, con i quali condividere i discorsi e il pensiero.
L'uomo ama ciò che è degno di essere amato: cioè ciò che è buono o utile o piacevole: da questi tre oggetti derivano le tre specie di amicizia.. L'amicizia non è solo una benevolenza reciproca, ma una  benevolenza di cui si è consapevoli, una benevolenza che si sceglie. L'amicizia fondata sul piacere o sull'utilità è solo momentanea: se l'amico non provoca più utile o piacere, l'amicizia viene meno. E’ quel che accade oggi con l’uso e getta! Così umiliante.
L’amicizia, dunque dice Aristotele nell’«Etica Nicomachea» (VIII, 1), «è una virtù o s’accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa estremamente necessaria per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni»; e aggiunge che essa: un’anima sola che vive in due corpi distinti>>.
Friedrich Nietzsche, aveva un concetto altissimo dell’amicizia; ma ne aveva uno altrettanto sublime della coerenza nella ricerca della verità. Il primo lo spingeva verso i suoi simili con simpatia e delicatezza (non vi è traccia, in lui, di quel disprezzo per l’umanità che caratterizza, ad esempio, Machiavelli, Hobbes, Voltaire o Freud); il secondo lo respingeva verso la solitudine, non per amore o bisogno di essa, ma per l’impossibilità di condividere i suoi pensieri con alcuno che lo capisse. Perché, come abbiamo avuto recentemente occasione di notare, in un mondo di esseri umani divenuti troppo piccoli,
è cosa difficilissima comprendere, o anche solo riconoscere alla lontana, la grandezza altrui.
Quanto al discorso dell’amicizia e al suo inevitabile corollario,
per certe anime che si sono spinte troppo avanti rimane : la solitudine.
Ad esempio è significativo il fatto che, quanto al crollo psichico finale di Friedrich Nietzsche, l’interpretazione cattolica e quella esoterica si trovino sostanzialmente d’accordo: il filosofo tedesco aveva teso al massimo le energie della trascendenza, negando ad esse, però, il loro sbocco naturale, al di fuori e al di sopra dell’io, e costringendole a viva forza entro l’orizzonte immanente dell’io stesso, ciò che ne causò una vera e propria implosione
.
Ma bisogna ricordarsi anche che «Al di là del bene e del male»: «Chi lotta contro dei mostri, deve fare attenzione a non diventare egli stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te».
Quando due amici non trovano più l'uno nell'altro ciò che cercano, la loro amicizia ha termine.

E non è questo, dell’uomo moderno in quanto tale: cioè di noi tutti, così inebriati dalla potenza del finto - della ragione, della scienza, della tecnica - e così pericolosamente esposti al pericolo di smarrirci nella desolata, allucinante Terra di Nessuno, ove nessuna stella buona ci indicherà mai ? E’ solitudine imperante! Non cercata né desiderata e non è neppure il frutto dei diversi difetti del carattere quale ad esempio una eccessiva timidezza, bensì la conseguenza disumana di una prassi ormai raggiunta: tradire la fiducia in una – amicizia - . Nietzsche “Dalla più tenera infanzia fino ad oggi - scriveva alla sorella - non ho trovato mai NESSUNO che prenda parte alla mia angoscia di cuore e di coscienza. Mi son sento felice FINO AL RIDICOLO, ogni volta che ho trovato, o creduto di trovare, un angolino in comune con un altro uomo. Ho la memoria strapiena di mille ricordi umilianti, relativi a debolezze di tal genere, perché in certi momenti non resistevo più alla solitudine… Non ritengo affatto d’avere un carattere chiuso, dissimulatore, diffidente. SE LO AVESSI, NON SOFFRIREI COSÌ. Ma non a tutti è dato di poter comunicare quello che pensano, per quanto desiderio ne abbiano. E poi, occorre trovar chi sia atto a ricever comunicazioni di questo genere… Dove sono i vecchi amici, con cui una volta mi sentivo così intimamente unito? Si direbbe che oggi apparteniamo, loro ed io, a due mondi differenti, che non parliamo più la stessa lingua. Mi aggiro in mezzo a loro come un estraneo, come un reprobo; nessuno mi rivolge più una parola, uno sguardo… Sono forse creato per esser solo, per non aver nessuno con cui confidarmi? In verità, quello di non poter comunicare ad altri ciò che si pensa è il più tremendo degli isolamenti; esser diverso dagli altri vuol dire portare una maschera più rigida di qualunque maschera di ferro, perché non v’è perfetta amicizia. Che sia il caso di meditare?


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