giovedì 22 dicembre 2016



Se mai ci fosse un sogno


Di Vincenzo Calafiore
23Dicembre2016Udine



In quel silenzio ovattato risuonano gli echi di parole e risate, come se quei mondi che si credono ormai perduti o dimenticati invece son lì e generosamente offrire ancora dopo tante distanze tutta la loro vita.
E’ una strana sensazione di estraneità dall’odierno, una tentata costruzione di una realtà diversa sostenuta dagli affetti, ma nonostante tutto appare sfuggente, irraggiungibile nella sua pienezza.
E’ una vita “slegata”, tanto per lo smarrimento delle radici di famiglia nella terra d’origine, tanto per la complessa ricerca di una condizione di serenità che mi permetta di vivere serenamente ciò che rimane e che voglio sia continuità.
I luoghi dell’anima non smettono mai di stupirmi coi loro impulsi costringono ad accendere la luce e cominciare a scrivere conscio che forse non servirà a niente, è un giocare d’azzardo la composizione di ogni rigo in cui volti reali scivolano  già inghiotti dalla brevità lunga un secolo, passano cose come comete.
Ma il ricordo più bello o il volto più amato di una donna, madre o compagna di viaggio, come un soffio di sogno s’impiglia nelle maglie della memoria e rimane in quel sempiterno di vita pulviscolare ove immagini più care, sempre uguali e insieme sempre altre, a comporre la storia degli affetti, lo spazio virtuale e vero della vita, tra le cose tangibili e grumose e il vorticare alto nell’aria che attende la fine di ogni viaggio.
Chiedermi sempre se il senso che ho dato e continuo a dare al mio viaggio sia quello giusto, se ciò che rimane di me sospeso in certe dimensioni che pian piano svaniscono come inghiottite da strane maree che poi lo restituiscono, è un vagare sempre verso mete di diverse emozioni, di nuovi approdi, di proibite sensazioni di ogni giorno, di ogni notte, senza sosta, senza fine.
Ogni alba è l’aria rarefatta di un tango, passionale, intimo, condiviso con chi più amo, passi e geometrie sempre in evoluzione, come movimento, come ala che taglia il cielo per disegnarne altri! Allora ecco che schiocca la magia del volare là dove voglio essere e rimanerci solo per l’istante di sussurrare nel “ suo sogno” il mio ti amo.
Così e chissà ormai da quanti anni, da quanti secoli io faccio lo stesso viaggio di andare e tornare sempre dentro lo schiudersi di occhi tanto amati, tanto desiderato incontrare affinchè io possa avere un approdo o un appiglio, una motivazione del mio esserci, del mio esistere, del mio amare.
E’ una presenza costante, come il pensiero, come la ricerca di una sensualità che svenendo cerca un angolo sicuro da cui poter fare ritorno senza rischiare di perdersi assieme al mare di ricordi.
Ogni alba è il momento più sacrale di una intimità preziosa in cui vivono le perdute esistenze ma che a un cenno o lampo di luce tornano più forti di prima, è l’amore che torna!
Tutto ciò ha in se il piacere e la donazione dell’argonauta, di quell’andare e tornare tra cuore e labbra, tra cuore e giorno, che separa e allontana coi suoi rumori, con li suoi strani giochi che a volte mi fanno giocoliere, o trampoliere di palude, funambolo sospeso sopra un mare che probabilmente cadendoci mi ingoierebbe facendomi sparire e riapparire in un altro ti amo diverso, più profondo, più intimo, più prezioso.
Non ho certezze, ma un sogno e un approdo.
Che strana è la mia vita, me lo dico tutte le volte davanti allo specchio mentre mi rado, è come levarsi strati di magica follia, per vedere nuovamente come sono.
Mi fermo e noto nuove rughe! Capisco che chissà da quanto tempo non do luce a quel volto riflesso allo specchio che con la sua anima dagli occhi mi racconta di se, tra le spire di fumo della prima sigaretta serrata nell’angolo destro delle labbra… è un momento prezioso, come se si levasse il sipario di un avanspettacolo sommesso, laborioso, in cui si muovono preziose intime felicità.
Dio, come sono vecchio io!

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