lunedì 2 gennaio 2017






Il colore degli occhi


Di Vincenzo Calafiore
03Gennaio2017 Udine


“ O KAIMOS “
    
E si provava a volare sulle rovine con gli occhi di rapace, e c’erano i primi versi amari a volte dolci che ancora germogli s’innalzavano agli occhi di chi ancora non conosceva l’esistenza.
Poi le lunghe corse a piedi scalzi che lasciavano profonde orme che all’imbrunire sparivano sotto un velo d’acqua, allo sguardo maligno di una luna che a quell’ora a volte di cipria rossa si tingea le mani.
Si provava a vivere di vita che a volte annegando portava ancora più in dietro, ancora più lontano da quello a cui ginocchia sbucciate accelerando mi facevano oltrepassare solchi di ingenuità verbale: le prime poesie a una ragazza che non c’era ma che immaginandola le raccontavo quante ali erano andate perdute nei primi tentati sogni che parean frantumarsi già sul nascere.
Le prime pagine, i primi quaderni, riempiti su un letto nella luce di luna che da una finestra intrufolandosi la illuminava quella stanza di tanti fogli appesi alle pareti; fotografie dei miei morti.
Amore che lasci la tua mano nella mia, spalla con spalla, occhi negli occhi, e riccioli scuri sugli occhi, amore che vieni come ombra nei meriggi assillati dai canti di cicale e dal vento che salendo piega l’erba, smuove i rami, rompe i silenzi di una fanciullesca siepe tra le vie nei campi, dimmi perché ancora ti neghi agli occhi miei?
Ah, le mie mani vuote, il mio sguardo sperduto in un’assenza immaginaria, come il sogno che si appresta e non sopraggiunge.
C’erano allora desideri che restavano sospesi incorniciati in un ovale su una parete che andava perdendo i bianchi e gli intonaci, dalle finestre schiuse che come fogli si agitano ai primi venti, al primo autunno.
Al primo inchiostro il rigo si contornò di nuvole,
alla prima poesia nacque il grigiore degli angeli,
si schiusero le porte su un paradiso che ancora si cerca, tra le righe, tra le pagine della propria storia, della propria esistenza.
Così pagina dopo pagina si sono riempiti quaderni, cenni di memoria, cenni di vita che già da allora svanendo lasciava di se tracce per farsi trovare, portolani che raccontano o potrebbero raccontare l’immediatezza di emozioni di un viaggiare custodite tra le ciglia socchiuse a forte luce che inebriando va ancora: la vita.
E ancor dopo le albe attese o disattese da un angolo quasi cielo, ancor si rinverdiscono sogni che propongono immaginazioni sempre più a file serrate,  ogni granello al sorgere del sole torna al suo posto.
Lei sempre più lontana, sempre più immaginaria, a volte torna! E l’aria come cambiasse vento d’improvviso si veste di primavera, è primavera in un dicembrino grigio e desolato; viene come soffio leggero che avverto come una carezza, come se di gentilezza la vita per una volta si vestisse per me e sol per me!
Ma è un istante, breve, centesimale come un battito di ciglia, cambia il vento e all’improvviso quel che era tempesta si placa, si adagia, si rasserena, così continuo a vivere dolci illusioni che da qualche parte ci sia un dio minore che a volte mi guarda o una mano possente che sollevandomi mi fa vedere un mondo che non conosco o che potrei conoscere, nei chiaroscuri di una memoria che a fatica a volte rammemorandosi riesce a farmi ricordare com’ero e cosa sono o che potrei essere.
Ma questo è amore!
E’ amore per quelle poche cose che le mie deformi mani riescono a reggere o a contenere,
è amore per i miei occhi che ancora riescono a sentire la voce di lontana risacca, mentre Pegaso si allontana sempre più remata dopo remata senza fatica, leggiadra di cielo in cielo, di grazia in grazia.
E’ amore quel mio saperti attendere, in quel mio: ciao come stai?
E’ amore quando mi lasci addosso quel desiderio di poter sentire il calore delle braccia, culla di madreperla, che di emozione in emozione torna come onda a sommergermi a sollevarmi a un cielo che a volte mi pare di non trovare.
E’ solo che amore!

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