giovedì 1 febbraio 2018

L’anello
Di Vincenzo Calafiore
01 Febbraio 2018 Udine

“ …. Le cose raccontate
sono sempre più complesse
di quanto tu possa immaginare … ! “

                          Vincenzo Calafiore


Successe al largo di Pantelleria in una notte di stelle ardenti: il vento gira e porta odori di altre terre secchi e roventi, gli stessi degli altopiani tunisini.
Di notte in mare aperto a Sud di Pantelleria, “ Bent-el Rhia “, o “ figlia del vento”, la barca ha un lungo brivido lungo la carena, sopraggiunge un strattone forte al boma e alla barra, le vele piene di vento si svuotano, si gonfiano al contrario.
Non è solo un cambio di vento, è molto di più! Le stelle improvvisamente ardono, la temperatura aumenta e il mare diventa 
<< bastardo >> la barca sbanda come ubriaca, l’aria diventa di deserto, rovente, secca, cambia anche l’odore.
Comincia l’aria desertica dell’Oriente, la stessa degli altopiani afghani o del Turkestan, dieci fusi orari di mondo pastorale mi piombano addosso nella notte. Fiuto il respiro del mare ustionato dal sole, ginepro, gelsomini, forse sangue …. Un odore dolce e cruento; l’Oriente è tutto in questa coabitazione di dolcezza e violenza.
E’ come la lentezza del marinaio che prega al tramonto, una calma piatta che nasconde uragani. O l’anima grande dei turchi che convive con l’orrore dei suoi regimi!
Cominciano le visioni.
Nel buio una donna in piedi sull’acqua urla e si sbraccia, avvolta in una tunica nera, il cuore si restringe tanto come una noce, invece è un gavitello da pesca, con sopra un’asta e una bandiera stracciata che si agita nel vento.
Sento che vado alla battaglia, al luogo del massacro, ma anche alle origini. Torno come salmoni a Levante, il marchio d’origine dei popoli, dei monoteismi, delle civiltà.
Tutto viene da lì, anche la parola “ Europa”.
Accadde a Bagdad, migliaia di anni fa, quando qualcuno guardò Occidente e disse: “ Erebu”, Terra del tramonto!
Tarek, capo canuto, capelli tagliati corti coperti da una cuffia nera di lana, barba di tanti giorni, intento a riparare la rete da pesca, mi parla senza staccare gli occhi dalle sue mani.
La pelle arsa dal sole e dalla salsedine, racconta tutto il mare addosso, l’odore forte di salsedine, le battaglie col mare bastardo.
Seduti entrambi sulla riva, guardavamo la barca conficcata nella sabbia << questa volta ti sei salvato! Il mare ti ha risparmiato e questo è un segno! >> Mi dice con la sua voce sicura.
Come  …. – mi ha risparmiato – sono stato io a puntare dritto sulla riva come un grosso pesce che va a piaggiarsi per salvarsi e riprendere poi con la marea il largo.
Dopo giorni di lavoro, sono pronto a riprendere il mare e di Tarek nessuna traccia, scomparso assieme alle sue reti, alla sua barca.
Chiedo di lui giù al porto e mi dicono che lo posso trovare nella sua casa dall’altra parte del porto.
Una casa dal tetto basso, e un giardino attorno di oleandri e gelsomini, cambia tutto e mi pare d’essere a casa, tappeti a terra e blu dappertutto, fichi secchi e datteri in un grande piatto.
Mi fa sedere a terra e assieme beviamo un te.
Abbiamo parlato di mare, del mare! Di come sa prendere per dare vita o morte, del suo essere padrone del mondo e signore di ogni terra.
Prima di salutarci con la promessa di incontrarci a mezzo mare, Tarek da un cofanetto finemente intarsiato estrae un anello di rame: una corona di delfini e me lo porge,lo infila in un dito della mano, mentre prega: << portalo sempre con te! Ti porterà fortuna e ti proteggerà in mare come in terra, sarai sempre in pace! >>
Ci salutammo sulla soglia di casa sua, non ci siamo mai più incontrati, ma l’anello è sempre infilato in quel dito da quel giorno come le sue parole fisse nella mente:

 << … tu sei del mare! >> 

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