venerdì 25 agosto 2023


 

Il Cancro del femminicidio

 

Di Vincenzo Calafiore

25 Agosto 2023 Udine

 

“ …. C’è un sogno da coltivare ed è quello di vedere

la fine di un incubo sociale chiamato femminicidio.

Fine che non ci sarà mai fino a quando esisterà una

Giustizia  che pare remare contro le donne. 

 

Ecuba è il simbolo di tutti i vinti!

Ma è anche l’antico dolore delle donne che sono sempre vinte, quando c’è una guerra.

Le donne che coltivano la vita con pazienza sacra e la vedono stracciata e sprecata dalla stupidità, dalla cattiveria, dalla bestialità, dall’indifferenza dell’uomo.

Le donne due volte vinte!

Ecuba, la Grande Madre vuole essere la “ presenza “ al femminile ieri come oggi una presenza ieratica eppure umana, sacra eppure interamente terrestre, è il simbolo del cardine vivo e doloroso allo stesso tempo della vita, della quotidianità, è l’epicentro del dolore e di forza attorno a cui ruota l’intera esistenza dell’umano.

Attendono sempre di conoscere il proprio destino, le donne! Sempre più vittime, sempre più obbligate a difendersi.

La Tragedia di Ecuba, atipica, considerata, secondo i canoni “ aristotelici “ antichi, addirittura non rappresentabile, le “ Troiane “ di Euripide ( e sullo stesso modello anche l’omonima tragedia di Seneca) andata in scena per la prima volta nel 415 a. C. è invece opera di sconcertante modernità.

Si susseguono, davanti a Ecuba, le donne, tutte le donne del mondo, ciascuna con la propria tragedia personale e collettiva: Cassandra, la vergine pazza, Andromaca vedova di Ettore, Elena fascinosa e sensuale, l’infedele, la causa della guerra infinita di Troia.

E’ interessante e particolarmente suggestivo il confronto tra Menelao, Ecuba, Elena, nella sua costante distruzione dall’interno di ogni cliché, Euripide rovescia pure  la figura di Elena, bella e ambigua come un serpente, in cui l’eterno femminino si sposa a un’affilatezza da sofista.

Dobbiamo in fondo, quando vediamo sulla scena – dopo millenni- le tragedie antiche, dobbiamo sempre constatare, assieme, l’inconsumabilità del Mito, la sua a-storicità, eppure la capacità perenne di raccontare la Storia nei suoi risvolti, nelle sue pieghe e piaghe umane.

Un particolare: il velo nero sistemato agli occhi folgoranti di Gorgone e di donna evoca lo chador d’altre donne, d’altre latitudini ed epoche, altre donne vinte, altre guerre quotidiane molto vicine a noi. Ecco che nelle parole di Cassandra, di Andromaca, vibra lo scontro  di civiltà che viviamo, o crediamo di vivere oggi.

Nelle parole di Seneca risuonano  ancora oggi per noi, millenni dopo, la stessa domanda, lo stesso dilemma etico, la stessa condanna: la violenza allontana dall’umanità che tutti speriamo condividere.

Un’umanità che dobbiamo coltivare, coi mezzi millenari dell’arte e della cultura, del pensiero, della parola. In questi tempi incerti solo la Parola e la Bellezza e la Verità che essa evoca e custodisce ci potrà salvare.

 

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