martedì 4 marzo 2014

GIU’ IL SIPARIO
(la solitudine)                               ( la vita è da un’altra parte )

By Vincenzo Calafiore
Accese la vecchia lampada posta sul tavolino accanto alla poltrona ove ogni sera una volta chiusa la porta della stanza si sedeva dopo aver allentato il nodo della cravatta e appoggiati i piedi sul piccolo sgabello imbottito, di raso a fiori, consumato e sfilacciato. La tenda ormai dello stesso colore della solitudine che si porta dentro da anni, si muove appena solleticata dalla leggera brezza che entrando dalla finestra appena sollevava le pagine di un calendario sul tavolo rotondo con una sola sedia stile liberty.
Tutte le sere dopo aver spento la luce del leggio e il microfono, ha attraversato la sala e prima di uscire si è soffermato a guardare il buio come a voler cogliere le parole sospese ancora nell’aria di poesie e racconti che lui leggeva alla platea attenta del “ Ricciolo di luna”. La luce dell’insegna di un motel frequentato da prostitute e coppie per una notte, illumina da sempre la vetrata della sala e attraversandola si espande su un mondo diverso.
Lungo la strada, la stessa strada percorsa lentamente nel respirare lento della notte, passa davanti ai pochi locali dai quali si odono i passi e le voci di coloro che spazzavano e pulivano quanto era stato lasciato dagli avventori.
Cappello a falde larghe in testa e impermeabile col bavero alto, aperto davanti, il giornale ripiegato sotto braccio, scarpe rovinate in punta per via dei calci dati ai barattoli di birra vuoti, che faceva rotolare sul marciapiede forse per riempire il silenzio dentro e fuori.
Nel frigorifero poche cose e pure ammuffite, e posacenere poco svuotati.
Sul tavolo al centro della stanza un grosso cero che usa per scrivere di notte, riempiva pagine e pagine di parole più o meno comprensibili che messe assieme volevano raccontare storie, a volte fino alle prime luci dell’aurora.
Pier vive ormai in quella stanza da un tempo che lui stesso ubriaco ha definito – non lo so -  dopo che la sua donna lo ha abbandonato preferendolo ad un altro uomo. Di lei ricorda vagamente i suoi tratti ma quel che non ha mai dimenticato è il suo disprezzo per gli uomini come lui inconcludenti e sognatori, visionari, capaci di navigare la notte.

A volte seduto su quella poltrona  nel buio rischiarato dalla luce dell’insegna di colore verde consegna al vuoto le sue parole che risuonano come in un teatro vuoto; lui attore stanco di recitare lo stesso monologo dal palco avverte la presenza della platea, ne sente il profondo respiro, gli scricchiolii delle poltrone, è pronto, accoglie in se la magia di quella forza strana e lo recita come non ha mai fatto. Non ci furono applausi e quello che lui udiva nel silenzio della stanza era il calpestio di passi veloci sul marciapiede appena sotto la finestra.

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