domenica 23 marzo 2014


POETI VIANDANTI

 

By Calafiore Vincenzo

 

In mezzo al mare non ci sono dei punti di riferimento, è mostruosa l’ampiezza, cinico il colore quando vi cadi dentro e sparisci così nel nulla.

Forse così accade ai clochard che si perdono per le strade, perdono anche il nome, il ricordo di come erano, e vagano come ombre per le vie di città mostruosamente ampie.

Sopra un’asta c’è una bandiera stracciata che si agita nel vento, è, rossa e gialla gli unici colori che non mi faranno perdere dentro l’ampiezza in cui mi muovo cautamente e continuamente dopo aver lasciato per sempre Durazzo e Valona, Corfù, sogni in cammino.

Quello fu un viaggio che non ho mai voluto concludere.

Arriva un colpo di vento di traverso la barca sbanda e s’inclina paurosamente fino a farmi toccare con le spalle la superficie dura del mare che vorrebbe ad ogni costo prendermi assieme al legno per portami giù fra i suoi cimeli di morte. Mi ricorda quella disperata occasione quando camminando incontrai un fratello del quale ricordavo vagamente un’infanzia perduta, qualche mattinata in riva al mare. Ci salutammo e non ero pronto a ricevere quell’eco lontano, eravamo entrambi pronti al massacro fino alla fine della battaglia per tornare alle nostre origini diverse e distanti.

Io in quell’inizio d’autunno segnato da una cattiva stagione, già ero lontano e vagavo su un mare ancora più grande sempre in rotta di collisione con altre terre, altre musiche provenienti dai mari d’Oriente. Forse non c’era più tempo per riparare o di ricominciare a scrivere nuove pagine di una vita ormai alla deriva dentro una specie di Purgatorio, il mare più tempestoso.

Verso il fiocco la notte non è riuscita ad ingoiare una parte di cielo  di poche stelle che spariscono nei continui sbandamenti. Il cielo ondeggia lentamente sopra la crocetta dell’albero, mentre la barca scivola dentro alte spruzzaglie di mancata civiltà.

Le voci dentro mi sottopongono a durissime sollecitazioni, diventano animalesche e violente nella coscienza memorica in fuga, mentre io anestetizzato dal continuo beccheggio oscillo paurosamente nel rumoreggiare di vaga esistenza.

Ci vuole tempo per risanare le vecchie ferite e tempo non v’è!

Strano. E’ strana questa vita che più ti caccia nelle battaglie e più incontri luoghi ove uomini si parlano, usando lo stesso linguaggio di parole che diventano note che riempiono l’aria di musica colorata dalle mani.

Così mi perdo dentro pensieri e significati diversi, “ Agios”  in greco vuole dire santo, ma anche – unitario-. Agios è riconosciuto da tutta la gente che lì si riconosce, ma è  anche “ Hadji “  soffio nuovo nell’anima, è “ Anemos “. Mi fermo, meglio tornare a dormire accovacciato nell’angolo in cui sono caduto, troppo rancore in corpo.

Troppi nomi nella mente, troppe vie, troppi campanelli, non capisco più dove sono. Nel buio della mezzanotte passata da poco suona una tromba è una canzone che conosco, barcollando danzo non so cosa e di quale cultura, ma danzo per me, per la vita che c’è in me, per la felicità di vivere, mentre la mia ombra viene proiettata dalla luna su una muraglia, ombra enorme….. come vecchio fantasma in film! Anemos, non c’è più mare.

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