martedì 4 marzo 2014

NOI  MUTANTI

Di : Vincenzo Calafiore

Persi nei viaggi fra carovane e stazioni noi esseri mutanti in attesa nelle lunghe soste forse di un quotidiano divenire. Durante le quali le singole esistenze rimangono sospese come treni su binari morti o in attesa di qualcuno o di  qualcosa, di un approdo, di un arrivo a una meta più volte vista dietro finestrini di vagoni in corsa ove tutto muta continuamente e si compongono e scompongono nuclei d’improvvisata familiarità.
Era un’altra vita con altri sogni più volte smarrita fuori dai finestrini, mischiandosi e confondendosi nelle nebulose spirali di un tempo in continuo mutamento che su noi rispecchia altre entità di sconosciuta sopravvivenza.
C’erano nell’aria di quelle lunghe attese, gli attimi lunghi un’eternità, risolti nella conclusione del viaggio che a sua volta era partenza verso un’altra meta.
Ma c’era il tempo della memoria che da un bilancio a un inventario ci costrinse in faticosi rendiconti alla coscienza senza farla guarire.
Noi da tempo avevamo lasciato città di ferro senza cieli  e di strade paludose, tutte nella stessa direzione, senza deviazioni possibili; eravamo diventati mutanti o reincarnazioni d altri, per non farci sorprendere da un sistema cinico e spregiudicato, senza ideali, che non crede in nulla e cerca un illusorio rifugio nell’alcool e nelle droghe.
Per raggiungere Kayfa la città della luce e della seta, la città dalle mille essenze diverse. Era
notte in mare aperto più a Sud di Valona, la barca ebbe un sussulto, arrivò una folata,  un improvviso respiro della notte al boma e alla barra, le vele piene di maestrale si svuotarono, si gonfiarono al contrario. Non fu solo un cambio di vento, fu molto di più, mutò il nostro fato di provvisorio terreno.
Le stelle improvvisamente brillarono lontane più intensamente e  aumentò la temperatura, il mare diventò bastardo; la barca sbandò come un’ubriaca, l’aria diventò di collina, rovente come il Foehn.
Diverso anche l’odore.
Nella lunga notte imbevuta di aromi dolciastri dei gelsomini di Saranda, navigavammo dentro una bonaccia; cominciò l’aria desertica dell’Oriente, la stessa degli altipiani afghani o del Turkestan, aveva lo stesso odore delle praterie ustionate, di un mondo pastorale lontano dolce e cruento. L’Oriente è questa coabitazione di dolcezza e violenza.
Succede al largo di Saranda in una notte di stelle, il vento cambia e porta odori di mare in cima ai monti e calando al mare porta quelli della montagna; di notte infinita notte tra le sue braccia. Cominciammo a vivere le visioni, nel buio un mezzo marinaio sembrò ai miei occhi  una donna che urla al vento e si dona.
Dopo una notte così non sono stato più lo stesso, le mie idee sul tempo e le distanze cambiarono mentre scivolavamo lentamente su un mare plumbeo e lentamente quella lentezza ci aveva posseduti. Sono invaso da un immenso silenzioso e non sono più nessuno come individuo, sono solo una delle anime che a milioni sono passate scivolando su questo mare. Così comincio a pensare alle tante vite perdute di emigranti e viaggiatori, soldati e avventurieri, agli eroi e ai mansueti. Solo allora cominci a capire le leggende di uomini capaci di mare, di ombre e di voci, mutanti che ritornano sempre a vivere divisi fra il terreno e il sogno: la vita.

  

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