venerdì 14 marzo 2014


Si è consolidata l’idea mia di “ 100 pagine in una” apprezzata da molti che mi incoraggiano a continuare a scrivere queste cose che ho chiamato per la loro brevità “ pillole”. E’ grande il numero delle persone che mi seguono anche attraverso il mio blog dall’estero specialmente; sapete come funziona del breve testo nomi dei personaggi e situazioni, le continuità e il finale sono cose vostre. Affinchè voi possiate continuare ad immaginare e a continuare la storia fino al suo naturale finale. Provateci mentre lavorate o state facendo qualcosa, vi terrà compagnia e vi allontanerà dalla noiosa usualità. Buona lettura a voi e grazie e ancora grazie. Calafiore


COME SE CI FOSSE

 

By Calafiore Vincenzo

 

“ Se si potessero usare le parole..”  era scritto su muro cadente e lebbroso del quartiere 208.

Dal marciapiede s’intravedevano solo le finestre con le tende chiuse, dal muro di cinta sbordava giù sul marciapiede la bucanville fiorita; io ci passavo ogni giorno davanti alla casa tinta di rosso quando tornavo dal lavoro con l’alba già avanti.

Addosso mi portavo ancora l’odore del fumo di sigarette fumate lentamente mentre scrivevo un pezzo che già lo stanno leggendo; con la notte negli occhi protetti dal cappello calato sopra, camminavo coi miei passi stanchi per raggiungere il letto.

Non avevo fretta di raggiungere casa poiché non c’era nessuno ad attendermi; andavo piano anche per non svegliare la disperata solitudine che albergava in me e questa cosa me l’avevano fatta notare anche i miei colleghi con la solita frase,  “ la si percepisce anche dai tuoi scritti la tua solitudine”.

Quella frase mi frullava la mente, mi offendeva ed era una cosa che odiavo molto; ma la verità è che i miei colleghi avevano ragione, io sono un uomo triste!

Triste nel vestirmi, tristezza gli occhi, tristezza nel giornale ripiegato più volte sotto l’ascella come fosse un filone di pane.

Una volta in casa le stesse cose di sempre tranne la pila di giornali ripiegati che  potrebbe collassare a terra da un momento all’altro, con tutto il suo peso di notizie che nessuno forse avrà letto, specialmente i miei articoli che trattando argomenti inusuali e anche incomprensibili qualcuno pure l’avrà usata quella pagina per pulirci i vetri della finestra o peggio ancora per avvolgere ventresche puzzolenti di pesci sviscerati.

Seduto sul letto, allento il nodo della cravatta, mi levo le scarpe e mi sdraio per riprendere fiato.

Nel sogno mi torna in mente la frase scritta su quel muro fatiscente, “ se…. si potessero usare le parole” al posto delle mani. Le parole per esprimere l’amore, per dare conforto, per dire amicizia, le abbiamo dimenticate e abbiamo imparato il linguaggio delle mani che non usano parole ma lasciano segni sui volti di donne violentate, sui corpi immobili avvolti da un lenzuolo. E quello delle mani è un linguaggio che non conosco. Mi salva dal terrore di una realtà tenuta da me lontana, la casa rossa di via Garibaldi! Chissà come sarà la padrona di casa? Spero che il sogno continui così forse potrò realizzare la sua immagine oppure sarà il suo vero volto, che magari avrò visto di sfuggita nel tempo che impiega una tenda a chiudersi?

La bocca amara e nel buio di casa mi alzo e restando seduto sul letto massaggio i piedi dolenti della notte prima, sempre con quel pensiero in testa, la donna misteriosa che abita in quella casa rossa.

Il frigo vuoto di tutto tanto mi rassomiglia, allora riannodo il nodo della cravatta e ritorno sulla strada investito dai profumi e dai colori, dalla luce forte che fa lacrimare gli occhi. Non li ricordavo quasi più, eppure di loro ho anche scritto e raccontato; quasi ora di pranzo entro nella solita trattoria e mi siedo allo stesso tavolo di sempre con le spalle al muro come se volessi guardare in faccia gli avventori come me, soli e sorridenti. Io non ricordo più da quanto tempo non sorrido eppure c’è stato un tempo che il mio volto era illuminato da un sorriso, ma poi cosa l’abbia cancellato non sono riuscito a capirlo.

“ Buongiorno… professore, i soliti spaghetti al sugo con il basilico? “ La voce mi riporta alla realtà ed è qui che scopro quanto triste sia in questo caso la solitudine, la mancanza della gioia di poter scambiare qualche parola con una donna. Poi la stessa voce continua a interrogarmi “ …. Ma quando vi decidete professore a prendere moglie? “ Magari ce ne fosse una! La mia risposta. Ma è quello che frulla in testa. Il problema è che oggi non ci sono donne, ma evanescenti figure femminili imbrattate di tatuaggi e di cose rifatte. Donne spregiudicate e volgari…  di donne vere se ne incontrano sempre meno e quelle poche  sono rare perle di un filo di parole che a volte mancano per fare belle la vie!

Nessun commento:

Posta un commento