martedì 4 marzo 2014

      MONOLOGO
Sovere ( BG ) 15 -05 -1998



 “ LA MISURA DI UN PASSO “

……  Non trovò più divertente quei panni di buffone.
Cominciò a pensare con la sua testa bagnata di   placenta rimastole sui capelli in colore d’ambra.
La gente per questo lo chiamò sin dai suoi primi passi
“ viso d’angelo “.

 Ora sulle tavole di quel palcoscenico che lo videro più volte recitare la sua parte, sentirono le ginocchia tremare. Si rialzò gettando a terra la sua maschera e lentamente coi suoi passi misurati si avviò a sipario ancora aperto dietro le quinte.

Non seppe mai se il vuoto che stava dietro le luci che lo seguivano nelle sue diagonali in quello spazio infinito, continuò a respirare l’immaginario lasciato dai suoi passi misurati. Pier annegò gli occhi dentro l’immagine che per un attimo attraversò lo specchio dei suoi occhi.

Vorrebbe andar via, uscire di scena senza rumore stringendo fra le mani un fiore che aveva ricevuto e un nuovo passaporto; ma ci vorrebbe un nome.
E lui sa che quello che ha, se l’era inventato tanto tempo addietro.

Cercando con evidente affanno e delusione una donna capace di stregarlo come le tavole  che per molto tempo i suoi piedi han calpestato, arrivò perfino a rivestire con panni diversi ogni sera nella solitudine della sua stanza un manichino che aveva trovato abbandonato per strada.

Era la sua donna.
Bella, dolce e serena; ineguagliabile compagna di viaggio.

Credette di amarla fino a quando, in una notte senza cielo quel manichino si chinò sul suo petto conficcandogli un fiore scarlatto. Pier rimase immobile con la stupida espressione della  sorpresa impressa negli occhi.

Lei andò davanti  alla finestra allungò le braccia e prese fra le mani la luce del lampione, si  voltò verso  Pier e con un soffio gliela fece cadere addosso svanendo in quel buio attorno.
Si svegliò dal breve e intenso sonno, aprì lentamente gli occhi Pier, sperando di trovare la sua donna ancora là coi vestiti che lui prima di andare a letto gli aveva infilato addosso, con dispiacere notò che nella stanza all’infuori di lui e del disordine non c’era nessun altro.

Appoggiò i piedi a terra come usava fare tutte le mattine, avvertì sotto la pianta una strana fuliggine che lo costrinse a rialzarli. Guardò bene il pavimento e potè notare la scia che finiva alla finestra.
<< … Sono stati due anni e mezzo d’inferno, mai un momento felice>> quelle parole nella sua mente erano uno strano rumore che non gli concedevano tregua.

Il giorno in cui la sua donna gliele vomitò addosso lo segnarono profondamente.
Ricorda ancora la misura dei suoi passi giù per le scale, a testa bassa col mondo che gli era appena crollato.
In principio non seppe darsi pace, la solitudine e lo squallore lo accompagnavano da un vicolo all’altro, dentro e fuori dalla sua vita. Fin quando non trovò quel manichino di legno buttato a terra tra un cumulo di cartoni bagnati dalla pioggia.

Pier lo raccolse da terra e dopo averlo pulito,  sottobraccio se lo portò a casa sperando in qualcosa di nuovo che potesse almeno allietare la  sua solitudine.
Gli diede un nome e a lei raccontò il cielo e la sua vita ogni volta che rientrava dal pub dove ogni notte si esibiva suonando il saxofono, gli raccontava i suoi sogni a volte non riuscendo a prendere sonno, spalancava la finestra per permettere alla luna di  affacciarsi, la sistemava lì seduta e suonava per lei, solo per lei, le melodie che attanagliavano il cuore.

Yoko, il suo amico pianista a conoscenza della strana relazione prima di ogni spettacolo, nel camerino gli domandava <<…Come sta Angie?>> E una sera vedendolo triste gli disse <<questa sera lo spettacolo è tutto per la tua donna>>, Pier si voltò e lentamente come se fosse un sussurro guardandolo dritto negli occhi rispose, << Anche tu ti prendi gioco di me, lei non è di legno, credimi è viva perché piange e sorride ed è bellissima credimi, non è di legno>>.


“ OMAGGIO”                                


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