martedì 4 marzo 2014

LA VIE EST BELLE

Di Vincenzo Calafiore

Il sole si era alzato e tramontato per sei volte sulle nostre teste, prima di raggiungere Medain Saleh. Seguimmo le vie dimenticate di spezie e di aromi nelle solitudini d’Arabia.  Ci avvicinammo arresi ai ruderi di città sepolte dalla sabbia, colossali necropoli scolpite nella roccia rossa da uomini scomparsi e dispersi, per la sola certezza che ha la morte, per la quale hanno scavato ed eretto con le sole mani, muraglia di sepolcri. Pietre miliari lungo le strade di un tempo che ci attraversa senza dolore.
Le carovane silenziose disegnavano gli orizzonti mutanti come il vento le dune  delle rose selvagge.
Avrei voluto avere una penna e fogli di carta su cui incidere nuove vie per poter riattraversare i miei deserti di ombre che si animano dentro un tempo negato che costretto ho atteso.
Mi sono perduto lì, davanti a quel mare infinito di niente con le mie poche cose, aspettando un Dio che non è mai passato da queste parti. Io e lei eravamo seduti nella sala d’aspetto di una stazione sperduta ai confini di due mondi paralleli; io con gli occhi fissi come se mi trovassi davanti a una fotografia che la ritraeva sorridente accanto al mondo che inconsapevolmente lasciammo. Niente era materia perfino il tempo che avevamo aspettato forse l’avevamo solo sognato o immaginato allora, ignari dei giorni che piano andavano nei percorsi di calendari sdruciti dagli anni lontani da noi.
Dopo il mio naufragio su una spiaggia deserta lei, Jacinta, visse ancora nei rudimentali sentieri del mio sguardo, ove udivo l’eco del suo: “ Mon amour, la vie est belle” Vivemmo desideri clandestini sopra cieli di raso di pianure conosciute, sui fianchi di un adolescente destino. Seguimmo le strade sotterranee dei sensi che ci condussero nelle pallide orbite di ricordi dispersi nei mari dietro le palpebre. Ove cantando ci siamo detti: La vie est belle!   
Poi rimasero le nostre ombre a volte così grandi da farci perdere entro la misura di un passo, a volte prendendo vita riuscirono a prendersi la nostra.
Con loro ho cercato di trovare le parole giuste per giungere ad un trattato di pace proponendo di cancellare quanto ci avesse diviso e creato distanze, con un colpo di spugna, senza nulla concludere.
Non sono stato capace.
Si muovono dietro le palpebre ombre dolcissime di baci e carezze ormai lontane.
Se potessi guardarla negli occhi.
Se potessi parlare con gli occhi le avrei detto Amore corri più forte accarezzando l’idea di una vita possibile.
Se potessi pronunciare parole difficili per incantarla davanti ai miei, lo farei.

Attraversando i deserti più volte fui attratto dal chiarore di falò lontani; più volte, troppe volte andai in altre vite attratto dai miraggi suadenti di nude danzerine  in velate nuvole di ombre.

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