mercoledì 26 marzo 2014




QUANDO LEI NON C’E’
By Vincenzo Calafiore

Non c’era alcuna intenzione di andar via, ma quel giorno che si era presentato sin dal mattino con il bavero alzato qualcosa in me si era messo di traverso e nulla da quel momento mi andava bene, oltretutto avevo ancora i fumi della nottata prima assieme agli amici, non ricordo quanto avessi bevuto, non ricordo neppure come abbia fatto a ritornare a casa, né l’ora.
Lei era partita.
Non c’erano in me risentimenti ma senza i miei riferimenti in verità mi sentivo d’essere dentro un’improvvisazione continua e mi aggiravo nella stessa estraneità tra gente sconosciuta in cerca di un qualcosa che mi potesse a lei ricondurre. Non mi bastava più il ricordare l’amore fatto la notte prima o i suoi orecchini che ha lasciato sul suo comodino, i suoi profumi che mi piace annusare, le sue vesti appese nel suo armadio e il suo accappatoio in bagno dove lei ogni sera si rinchiude per venire a letto profumata di primavera. Siamo stati tutta la notte uno accanto all’altra coi volti illuminati dalla tenue luce della lampada ovale a terra vicino alla porta, parlando sottovoce quasi a non farci sentire dal mondo.
Per lei anche se è andata via ho raccolto fiori che sono appassiti.
Ho chiuso la nostra camera per dormire su un divano scomodo.
Lei non c’è e la mia vita si ferma.
Ora vorrei le sue mani azzurre
i suoi occhi maculati dalla luna, occhi che sanno guardare e leggere il complicato scenario che ho dentro.
Le stanze vuote di lei svelano in segreto situazioni di attesa, nel quotidiano divenire, durante le quali è come se le nostre esistenze rimanessero sospese, in attesa di qualcuno o di qualcosa, solitamente un evento di un suo anticipato rientro, o di un suo felice approdo a casa raggiungibile della nuova tappa nella corsa terrena all’incerto traguardo.
L’assenza è un viaggio in vagoni polverosi su rotaie passando per stazioni in cui probabilmente ci attendiamo. Nella sua assenza scorrono immagini di lei, come le immagini che scorrono fuori da un finestrino mischiati e confusi al desiderio di vederla apparire nella luce di una porta ce si apre.
Ma corrono anche attimi lunghi un’eternità o le eterne attese in un attimo risolte nel momento conclusivo di ogni viaggio, di ogni assenza; con lei svaniscono le ansie e le paure quelle note già durante i mille passaggi in treno dell’infanzia e dell’adolescenza, talvolta dell’ancora lunga stagione dell’amabilità che come sempre trasforma la memoria, annulla i ricordi guardandola in viso e negli occhi. Gli stessi che mi hanno fatto innamorare, del tempo perduto, delle occasioni mancate e degli incontri saltati.
Qui in questo mio scompartimento vuoto sento il mio pacato meditare di farle trovare i fiori che più a lei piacciono: le rose rosse! Sono felicemente escluso dalla inutile frazione di un’esistenza vuota relegata nell’inerzia dell’attesa che i giorni, i mesi, gli anni scorrono veloci e lenti dentro e fuori l’esistenza stessa corrosa dal desiderio di sentire la sua voce e di saggiare il sapore delle sue labbra, o di poterle dire ancora una volta: non andar via! Non farmi vivere in una permanente vicevita che significa supplenza della ragione di un sentimento più grande della vita stessa. Di non farmi perdere dunque in una rischiosa ipotesi di rassegnata accettazione del nulla. Se tu non ci sei!  

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